La Sagrada Familia dell’autismo

Warning: questo è un post ad altissimo tasso di incazzatura. Incazzatura mia, tanto per cominciare, perché di certe cose ormai ne ho piene le scatole. E incazzatura vostra, magari, perché non è un post che piacerà a molti, e molti potrebbero pensarla diversamente. E sticazzi, ovviamente, finché questo è il mio blog qui ci sarà quel che penso io.

Oggi parleremo della famiglia italiana nel mondo dell’autismo. Perché i bambini di solito hanno una famiglia, e quando un bambino ha un problema è tutta la famiglia che viene coinvolta. In teoria. Quello che succede è che di solito c’è un membro della famiglia a cui viene demandato l’accudimento della prole, problematica o no che sia. E indovinate chi è? Bravi, avete indovinato. E’ la madre. La maTre di famiglia secondo i migliori canoni della tradizione italica et patriarcale (e pure un po’ paracula).

Intendiamoci, lo fai anche volentieri perché quello lì è tuo figlio, un piezz’e core, ma negli anni quello che accade, nel caso soprattutto dei bambini autistici, è che si allarga sempre di più il gap. Il gap tra le tue conoscenze e competenze in materia, vuoi acquisite informandoti vuoi con l’esperienza pratica, e quelle degli altri membri della famiglia. Quindi tu ne sai sempre di più, loro sempre di meno, insomma quella più capace sei tu e quindi è naturale che tocchi sempre di più a te. Poi c’è il fatto che molte madri di autistici lascino il lavoro o gli studi per star dietro ai figli, e quindi tu non hai niente da fare no? Gli altri invece c’hanno da lavorare, c’hanno gli allenamenti, c’hanno i loro importantissimi cazzi e mazzi, e quando scoppia la crisi si ritrovano sempre misteriosamente in un comodo altrove. E tu lì, a gestire l’ennesima crisi. L’ennesima visita. L’ennesimo colloquio difficile a scuola. Da sola. Quegli altri non lo fanno proprio apposta, anzi un po’ gli dispiace che non sono capaci come te, ma sotto sotto alla fine è anche comodo, sai quante rotture di coglioni ti risparmi?

E già così, secondo me, basterebbe e avanzerebbe per incazzarsi. Ma c’è una ciliegina su ‘sta torta che a me non va proprio giù. Ed è che quando poi ci si ritrova tutti in quei meravigliosi momenti di confronto pubblico, che sia sociale o clinico, tu che come madre ti fai il culo per star dietro al creaturo informarti studiare portarlo in giro per visite terapie compleanni etc., e ormai hai imparato benissimo a capirlo e gestirlo, lui le terapie i compiti i rapporti con la scuola etc. etc. etc. … ti senti dire che così non va bene. Perché sei troppo, cara mia. Troppo presente, troppo efficiente, troppo debordante, tuo figlio ti vede come la fonte di ogni salvezza, e invece il padre no, non lo vede così. Togli spazio alla figura paterna. E ovviamente, nella migliore tradizione psicologica d’accatto, è colpa tua. Cornuta e mazziata: ti fai un culo come una manica di cappotto, al meglio che puoi, cercando di coprire le mancanze e lacune altrui, ci riesci pure bene magari, e non dico dirti grazie, ma ci fai pure la figura della madre madrona. E tocca quasi ringraziare che non ti danno più della madre frigorifero, perché la scuola di pensiero è quella, ma insomma, qualche colpa te l’appioppano sempre, non si scappa.

E guardate che ci sono pure dei padri che, in queste situazioni, pensano bene di cavarsi d’impaccio dicendo “eh tanto io anche se provo a dire qualcosa non conto niente” o “eh io tanto devo sempre stare zitto”.
ESATTO. Se non sei competente e rischi di dire stronzate, è meglio che stai zitto. Tu che non ci stai praticamente mai a gestire i loro meltdown, tu che a malapena sai che faccia hanno le sue maestre, tu che in 10 anni dalla diagnosi non ti sei mai nemmeno letto un libro sull’autismo, mentre probabilmente lei macina corsi e master, tu che c’hai sempre gli allenamenti il lavoro l’inondazione le cavallette ma insomma non è mai compito tuo… tu quando c’è da decidere cosa fare con la salute e il benessere di tuo figlio i casi so’ due: o riesci per qualche misterioso miracolo a tirar fuori qualcosa di sensato, o se devi dire le solite cose totalmente inadatte per la gestione di un ragazzino autistico, non puoi pretendere che siano valide solo perché qui metà del DNA è tuo. Devono essere prima di tutto sensate e adeguate.


Insomma abbiamo uno stato che non fornisce servizi nemmeno lontanamente adeguati e scarica tutto il welfare sulla famiglia, che significa sostanzialmente sulle donne della famiglia. Poi abbiamo una legge che obbliga scuola e specialisti a riconoscere lo stesso peso decisionale a entrambi i genitori, e una cultura imperante che ritiene che sia giusto e doveroso a prescindere dal contributo dato dalle due figure, ma nei fatti la cura dei bambini, autistici e non, è quasi tutta demandata alle madri o figure sostitutive femminili. Non è che ce lo siamo scelto, che fosse così, nessuno si strappa i capelli per avere quest’onore fidatevi, è così perché socialmente funziona così, io lo faccio perché questi sono i miei figli, e come me so che lo fanno tantissime… ma ritrovarsi poi cornute e mazziate come sopra in nome della difesa dell’immagine di presepe familiare del patriarcato (e di scuole di pensiero vecchie come il cucco) anche no, grazie.

Bene, arrivati qui ci saranno sicuramente dei padri offesissimi che diranno non è vero, io mi occupo di mio figlio, con sua madre, siamo alla pari in questo o comunque io partecipo in tutti i modi possibili, sono un padre presente, #notallmen etc.
E io vi crederò, nessun problema. Ma guardiamoci in faccia con onestà, non siete la normalità. Guardatevi intorno sui gruppi dedicati all’autismo, per esempio, guardate alle riunioni della scuola, o nelle sale d’aspetto dei centri di terapia, contate quante madri e quanti padri ci sono, tanto per fare un esempio facile facile. E allora andateglielo a dire a tutti gli altri colleghi vostri, non dico di darsi una mossa studiare partecipare etc., peccarità, ma almeno che la prossima volta che qualcuno dice alla moglie che fa troppo o decide troppo, invece di fare pure il vittimista con la solita frase “eh io non posso mai dire niente”, provassero a rispondere la verità: “Guardi, mia moglie è quella che se ne occupa di più, ne sa decisamente più di me, quindi è meglio così”.