Angry Mom

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“L’ansia che permea una persona autistica si può evitare (o contenere) seguendo alcuni facili punti: – Massima prevedibilità – Avvertire dei cambiamenti per tempo – Limitare i tempi di attesa – Non fare domande che portano ad una scelta – Rispettare il programma che si è deciso” (Cit.)

Stamattina è la terza mattina di seguito in cui riesco a portare l’Aspergirl a scuola, e vengo chiamata per andarmela a riprendere prima.
Già glie la devo portare dieci minuti dopo l’ora di ingresso perché non c’è versi che ci sia qualcuno ad accoglierla all’orario di entrata, con conseguente montare dell’ansia mentre aspettiamo nell’atrio e dobbiamo far chiamare l’insegnante preposta. Vabbe’.

Una volta c’è un’ora di una materia in cui lei è esonerata e non le viene fatto fare niente, perché mi dicono che l’educatrice non può farle fare niente di didattica né portarla altrove magari a studiare (ma che fa allora un’educatrice a scuola? Babysitting a 20 euro l’ora più iva? Fateme capi’. Perché tra parentesi la mia baby sitter a casa almeno i compiti glie li fa fare o ci prova, e per molto meno)… e va così, un’ora totalmente destrutturata, in cui tutto può accadere e purtroppo accade, l’Aspergirl va in ansia di brutto, l’ora prima tutto bene, fa persino matematica, l’ora dopo mi devono chiamare che vada a riprenderla..

Il giorno dopo manca una prof e quindi c’è un supplente sconosciuto, nessuno ci ha avvisati nonostante chieda di essere avvisata di queste cose dall’anno scorso, e in più l’aula di sostegno in cui l’Aspergirl dovrebbe lavorare è occupata da una lezione di musica (che cazzo c’entri la musica con il sostegno non lo so, perché debbano occupare l’aula di sostegno quando hanno aule di musica non lo so, attendo ancora che me lo spieghino, perché mia figlia disabile debba essere quella che viene lasciata fuori da un’aula di sostegno a favore di un non disabile pure). Me la riporto a casa dopo 20 minuti dall’ingresso, e già sto incazzata così.

In mezzo c’è un giorno in cui manco la mando a scuola perché c’è il cineforum, e lei al cinema non ci va, period, possono anche smettere di chiedermelo, ormai potrebbero anche averlo capito, se proprio vogliono programmarlo nonostante sappiano che c’è un’autistica in classe vabbe’, ma smettessero di chiedermi se l’Aspergirl va, che è meno ipocrita.

Stamattina il record assoluto, la lascio a scuola e mi sento chiamare dalla finestra del corridoio mentre esco dal cortile. Non è manco entrata in classe, perché oggi ha trovato il suo banco personale spostato ed occupato da un’altra persona.

STONF.
Me so’ cascate le braccia, la mascella e tutto quanto non saldamente assicurato.

Stiamo proprio all’ABC dell’autismo, gente. Sarà bene che vi diate una regolata perché NO, non si fa così. E se non lo capite da soli, mi tocca di nuovo diventare SuperStronza, la supereroina che nessuna madre vorrebbe mai essere ma je tocca, e farvelo capire. Con le buone, spero, o con le cattive. Sta a voi, adesso.

P.s. che poi non ho ben capito se tira l’aria da “tanto basta tirare fino a giugno e poi il problema va al liceo”. Sì, l’Aspergirl magari ve la levate di torno, ma tra un po’ v’arriva l’Aspiebaby. Con me, ovvio. Che vi piaccia o no, con gli autistici dovrete imparare a lavorare prima o poi. Facciamo che è meglio prima?

Famo a capisse

Check List With Red Checkmark Icon

Due parole dueddue sull’annosa questione “Siamo tutti un po’ autistici allora”, in chiave discorsiva.

No, non lo siete, non si può essere solo “un po’ autistici” (e manco “un po’ neurotipici” se è per questo) nel senso di un pezzo autistico un pezzetto neurotipico, così, a settori separati. Si possono avere alcuni comportamenti in comune con gli autistici, all’interno di una struttura che nella sua totalità però non è autistica, e quindi non funziona come tale. E questo non significa essere “un po’ autistici”, significa essere neurotipici, con qualche tratto autistico.
Essere autistico, un po’ o molto, significa fare praticamente tutto come un autistico, pur con maggiore o minore intensità e rigidità, non qualcosa qua e là tipo isola spersa, e soprattutto avere un funzionamento autistico rispetto ad alcune questioni “core”. Significa avere una mente che funziona in un certo modo, e lo fa sempre, perché è strutturata in quel modo, non solo per alcune cose. Una mente che non sa fare diversamente e non può decidere di fare diversamente. Non solo i comportamenti saranno diversi, saranno diversi soprattutto i processi mentali al di sotto di comportamenti, anche di comportamenti solo apparentemente simili a quelli dei non autistici.

Persino un’autistica “che non sembra autistica” come me, una bene adattata, una che è passata sotto il radar per ben più di metà della vita… è autistica praticamente in tutto in realtà.

Intendo dire che, date tutte le infinite cose che si possono fare/sentire/pensare nella vita, e date almeno due diverse modalità di fare/sentire/pensare qualunque di queste cose, una tipica dei non autistici ed una degli autistici, io le farò/sentirò/penserò costantemente in modo autistico. In modo autistico “lieve”, talvolta impercettibile dall’esterno, e quindi controllabile dai meccanismi di compenso e “camuffabile”, ma di base in modo inequivocabilmente autistico. Anche se non ve ne accorgete.

Esempio: Caio è neurotipico, io sono autistica; Caio ed io entriamo in un’aula e ci sediamo. Apparentemente lo abbiamo fatto nello stesso identico modo. In realtà, io entrando ho guardato la stanza, sedendomi ho contato mentalmente il numero di punti luce, ho individuato quali lampadine sono più fioche di altre, dove sono crepe o macchie nelle pareti, ho cercato di individuare un pattern nel controsoffitto e mi sono pure un po’ irritata se non c’è un pattern ripetuto in modo regolare, ho preso nota di tutti i dettagli, e continuo a farlo per tutto il tempo. Cerco schemi in quello che vedo. Conto le cose, allineo le  cose, tocco le cose. Registro i rumori. Non decido di farlo, la mia mente lo fa e basta, sempre. E non posso impedirglielo. E’ molto utile per alcune cose, un’interferenza per altre. La luce al neon mi dà fastidio, ed il rimbombo dei suoni anche. Non posso evitarlo. Devo chiedermi se è il caso di tirar fuori tappi per le orecchie e occhiali da sole per poter prolungare il mio tempo di permanenza senza problemi.

Scommetto quello che volete che se Caio è davvero neurotipico, nella sua testa non c’è tutto questo quando entra, si siede e aspetta che inizi la lezione. Non so cosa ci sia, ma non questo. E vale per tutto. Sono proprio due modi diversi di percepire la realtà, elaborarla, ed elaborare risposte. In tutto, non solo in questo o quel tratto, in questo o quel campo. Nominate qualcosa, ed io vi descriverò il modo in cui la mia mente lo vede e affronta, e probabilmente non sarà il vostro, se siete neurotipici, e quali adattamenti devo fare per poterlo fare in modo apparentemente normale.

Esempio nell’altro senso: l’ipersensibilità sensoriale. Ci sono autistici che faticano molto a sopportare suoni o luci, ed hanno violente crisi se obbligati a sopportarle troppo a lungo. Io non ho crisi, di solito, ma non li sopporto molto lo stesso. Cefalee, nervosismo, scatti d’ira, stanchezza inspiegabile, malessere, acufeni, problemi di vista, disagio e voglia di andarmene, sono tutte cose che mi capitano regolarmente se esposta a rumore e luce eccessiva per me. D’estate io non esco quasi di casa, perché c’è troppa luce fuori per me. Non esplodo in un meltdown facilmente, ma lo stress  lo sento e la mia resistenza in ambienti in cui i neurotipici si trovano tutto sommato a loro agio è molto ridotta. Di nuovo, non è qualcosa che posso decidere di non sentire, dai su sopporta un po’, è così e basta. Io e gli autistici di cui sopra condividiamo la condizione di ipersensibilità sensoriale, anche se in misura diversa, ed anche se io non sembrerei autistica perché non ho reazioni molto visibili ed eclatanti. Perché siamo autistici, appunto. Io capisco cosa prova l’Aspergirl, che ha una ipersensibilità molto più pronunciata ed evidente della mia, quando è in classe o fuori casa, perché prendo quello che succede nella mia testa e lo moltiplico per tre o per quattro. Lei può avere meltdown per sovraccarico sensoriale, io praticamente mai, ma ci capiamo perché siamo della stessa specie in un certo senso. Un neurotipico dubito davvero che capisca, non riesce a concepirlo perché manca l’esperienza personale a cui fare riferimento. Se vede l’Aspergirl in meltdown, non comprende perché.

Per essere autistico, in sostanza, anche solo “un po’ autistico”, o meglio autistico lieve* non basta barrare qualche casellina sparsa sulla checklist del funzionamento, bisogna avere un consistente set di caratteristiche pervasive e costanti per quanto di intensità variabile da individuo a individuo, che riguardano i campi di interesse, la cognizione, la percezione sensoriale e la socializzazione.
Come dire, quelle tre-quattro cose che assieme ammontano al 99% dell’esperienza umana. Vedete un po’.

*lieve ‘na ceppa poi, non è affatto lieve la fatica continua e quotidiana, in nessun caso

Il vero peso per noi è la vostra ignoranza

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Una delle sonore cazzate che girano in rete in questo momento è la storia che ai bambini ADHD vengano messi giubbotti pesanti imbottiti di sabbia per tenerli fermi nel banco. La causa è un (pessimo) articolo di Repubblica, questo:
http://www.repubblica.it/salute/2018/01/20/news/in_germania_giubbotti_con_la_sabbia_per_bambini_iperattivi-186912255/
Grida di sdegno, scudi metaforicamente levati, ah che orrore uh poveri bambini. Su un gruppo di insegnanti di sostegno che frequento c’era da rimanere basiti, a vedere quanto pregiudizio e quanta disinformazione regnino anche tra gli addetti ai lavori.

Informatevi.

Tenete la menta aperta, perché nella neurodiversità vedrete utilizzare soluzioni che per voi sono inaspettate o impensabili, o vi possono sembrare “assurde”, ma hanno il loro senso eccome. Facilitate il compito alle famiglie, tenendo la mente aperta e disponibile ad informarsi.

I giubbotti appesantiti, o le coperte appesantite, o altri supporti simili, sono già largamente usati nel mondo dell’autismo soprattutto nei paesi anglosassoni, e si inizia a provarli anche per altre condizioni del neurosviluppo che implicano difficoltà sensoriali. Esistono pochi studi ma sono incoraggianti, ed esiste anche l’esperienza di chi li usa.
Provate a pensarci un attimo: provate a focalizzare mentalmente la sensazione di conforto che può darvi un abbraccio. Soprattutto provate a chiedervi: perché noi umani ci abbracciamo per darci conforto o cercarlo?
Perché un abbraccio fa sentire bene? Perché i bambini si calmano con un abbraccio, o avvolti in una copertina?

L’abbraccio ha due componenti sensoriali: una è il contatto tattile superficiale, l’altro è la stimolazione sensoriale propriocettiva, profonda, sui meccanocettori del corpo. In sostanza, è fatto di contatto e pressione.
MA… il contatto può essere molto fastidioso ed anche doloroso ed insopportabile per un autistico. E’ un bailamme di emozioni e sensazioni diverse, intrusive, confondenti e stressanti. Invece la pressione è più spesso una stimolazione gradita, stabilizzante, calmante. Ti fa sentire il tuo stesso corpo in modo non intrusivo e stressante.
Uno di questi vituperati oggetti fornisce pressione con un contatto fisico ridotto al minimo, praticamente il contatto fisico è quello dei vestiti, che di per sé sono una cosa tollerabile. Qui ci siamo attrezzate cucendo una coperta appesantita, perché in Italia ancora non si trovano e farle venire dall’America, dove sono reperibili, costa un rene tra spedizione e dogane. Ci siamo imbarcati a farla perché ci siamo accorti che l’Aspergirl per un periodo si è calmata solo avvolgendola strettamente in un lenzuolo, oppure coprendola con coperte cuscini e valigie piene. Certo, non funziona così per tutti gli autistici, e nemmeno per tutti gli autistici sempre: l’Aspergirl da piccola era possibile abbracciarla, le faceva bene. Poi con l’aumento delle ipersensibilità sensoriali dovuto alla pubertà, le cose sono andate peggio e… abbiamo trovato altre soluzioni. Come sempre. L’Aspiebaby invece non ha grossi problemi di ipersensibilità per ora, e quindi abbracciarla è un ottimo modo di aiutarla a calmarsi. Finché funziona ben venga. A me la pressione aiuta quando ho una recidiva della sindrome delle gambe senza riposo, che è un problema neurologico di cui le persone autistiche possono soffrire in maggior misura rispetto ai neurotipici. Un’altra soluzione era l’acqua molto calda, ma dormire in una vasca da bagno è piuttosto scomodo, ne converrete, meglio una coperta appesantita. Comunque trovo la pressione uniforme sul corpo molto rilassante, molto più di un abbraccio, perché il contatto fisico può essere faticoso da tollerare anche per me quando sono stanca e nervosa.
Mi ferisce leggere persone che sputano sentenze su qualcosa che per me e per le mie figlie può essere un aiuto, oltretutto un aiuto innocuo per noi e per il prossimo. Che paura vi fa un giubbotto un po’ più pesante, davvero? Che bisogno avete di affossarlo senza averlo nemmeno mai provato, o visto usare su chi ne può trarre beneficio? Perché bisogna sempre combattere contro pregiudizi ed ignoranza? C’è chi dice che “così sembreranno diversi”. Ma sono, siamo diversi. Abbiamo bisogni diversi, e non possiamo nasconderli sempre. Anche una sedia a rotelle sottolinea la diversità di un bambino, potenzialmente, ma che si fa, togliamo la sedia a rotelle ai paraplegici? Non è meglio abituarsi alla vista di una carrozzina (ed eliminare le barriere architettoniche)?

Noi siamo persone autistiche. L’amore ed il rispetto per noi si esprimono facendosi venire il dubbio, sospendendo un attimo il giudizio in attesa di capirci quaclosa, riconoscendo la nostra diversità, accettandola, ed accettando i modi che abbiamo trovato e troviamo per andare incontro ai nostri bisogni. Che possono non essere gli stessi a cui siete abituati. O forse sì. L’abbraccio non è il solo modo di dimostrare amore e rispetto. Amore e rispetto sono anche informarsi, e tenere la mente aperta. Ed accettare che non siamo tutti uguali, che gli abbracci non devono piacere a tutti, e uno strano giubbotto per qualcuno potrebbe fare la differenza in classe.

Quando la routine fa bene

Un’Aspiebaby ha bisogno di routine. Ha bisogno di prevedibilità, di ritrovare ogni giorno un ordine e un senso nella sua giornata e nel mondo… Ed ha bisogno anche di costruirsi il senso del tempo, della successione dei giorni e delle ore, perché non è una cosa così automatica e scontata per una piccola autistica.
Così tra Roby Poppins, la nostra terapista preferita, ed Aspermom è venuto fuori questo cartellone dove sono illustrati – le immagini sono importanti per Aspiebaby – e fissati i momenti salienti delle giornate. Ed una filastrocca trovata su internet ci aiuta a scandire il passare dei giorni della settimana.

Materiali utilizzati: lastra di propilene, si trova nei negozi di bricolage o su Amazon; cartoncino bristol colorato; velcro autoadesivo; pennarelli, fogli di carta, plastificatrice, stampante.

Cry wolf

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C’è un episodio significativo nella nostra lunga relazione di amore e odio con gli specialisti che seguono le nostre figlie (nel senso che alcuni li amo senza riserve ed altri comprerei un SUV solo per tirarli sotto e fare pure retromarcia, visti i casini che ci hanno combinato).

Comunque l’episodio è questo: l’Aspergirl ha sempre avuto quelle che si chiamano “crisi comportamentali” o “meltdown” nell’autismo, crisi violente di rabbia pianto confusione e tutto il cucuzzaro, ed io doverosamente le riportavo ai suoi curanti. Ai medici, alle psicologhe che la valutavano o ce l’avevano in carico. Io cercavo di spiegare, raccontare etc. e sì signora certo certo, annotavano, ponderavano, valutavano e poi stavamo sempre allo stesso punto e con la stessa diagnosi.
Poi è successo che l’Aspergirl ha avuto una crisi, o un meltdown, particolarmente forte, proprio nello studio della sua psicologa. Prima volta che capitava fuori casa e veniva visto da qualcuno che non fossimo io e suo padre.

Mezz’ora dopo avevo al telefono un preoccupatissimo npi che mi proponeva un ricovero urgente in centro all’eccellenza perché aveva ricevuto una chiamata dalla collega piuttosto allarmata per quel che aveva visto.
Ecco, lì ho avuto un’epifania: non mi prendevano sul serio! Non mi credevano davvero, fino a quel momento . Quando io raccontavo qualcosa dei problemi che affronto tutti i giorni, e la raccontavo in modo composto perché io *sono* una persona composta e controllata, non sto lì a strapparmi i capelli e perder tempo ed energie in sceneggiate eduardiane… loro non mi prendevano sul serio. O non capivano. Pensavano che fossi la classica madre ansiosa degli stereotipi italici, oppure esagerata, oppure inesperta. Facevano una tara sulle mie parole, insomma. Mi sono ricordata che quando studiavo medicina in effetti noi studenti venivamo effettivamente addestrati anche a non considerare come oro colato quel che diceva il paziente, anzi a coltivare una certa diffidenza nei suoi confronti. “Vi diranno che è uscito un sacco di sangue, in realtà se era mezzo bicchiere è già tanto”, cose del genere. Il professionista medico non stima molto il paziente che ha davanti, e meno ancora la madre del paziente che ha davanti, che già solo perché donna e madre è meno attendibile. Ed io e l’Aspergirl eravamo finite in questo bias, senza rendercene conto.

Mi è capitato altre volte dopo di rendermi conto che mi prendono sottogamba? Be’ sì. Sono diventata più incline alle sceneggiate eduardiane per farmi prendere un po’ più sul serio? No, mi rifiuto, non posso, non fa parte di me. Però ho iniziato a filmare alcune cose, perché un filmato vale più di mille parole, poi se vedo che lo specialista di turno comunque non mi prende sul serio… o pianto la cazziata per vedere se gli sturo le orecchie o vado direttamente altrove. Di bias ne abbiamo avuti abbastanza in questa storia.
(foto di nickyb)

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“No, chiariamo una cosa. Con due figlie autistiche, riuscire a mandarle a scuola il lunedì mattina, cioè dopo uno o due giorni di interruzione, non è affatto scontato. Quindi sì, se succede io dico che è incredibile, lo dico allegramente ma lo dico eccome.
E chiariamo anche un’altra cosa allora: qui se le bambine non vanno a scuola non è perché siamo genitori senza spina dorsale. Io tutte le mattine ci metto un’ora e 10, anche un’ora e 20 di procedure e strategie per portarcele. E’ un’operazione militare, in pratica. E se quel giorno non ci riesco io, significa che nessun altro ci sarebbe riuscito”.
E da lì, l’incontro a scuola è andato molto più liscio…

(ci stanno dando una grossa mano, davvero. Sono super disponibili e collaborativi, grazie al cielo ci sono. E’ solo che ogni tanto glie lo devo spiegare meglio, il meraviglioso mondo dell’autismo)

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Cuor di volpino

Se mi chiedessero chi tra i miei due cani è il quello più affettuoso direi il meticcio,  che è praticamente ‘na cozza coccolosa, sempre accoccolato vicino a qualcuno, e poi è educato, ubbidiente, mollerebbe persino una bistecca se glie lo ordinassi.
Però c’è un’occasione in cui anche lui si guarda bene dall’avvicinarsi, ed è quando qualcuno qui ha un meltdown… allora prudentemente si va a rintanare al sicuro, e come dargli torto?
E chi è che in quei momenti arriva scodinzolando e sprezzante del pericolo si butta proprio nell’occhio del ciclone?
Il volpino soprannominato Loki, sì, come il fratello stronzo di Thor, proprio lui, lo scorbutico, ansioso, prepotente volpino. Che si avvicina nonostante gli urli e l’agitazione, si rifiuta di allontanarsi, cerca di leccare la faccia di chi sta male e continua imperterrito a scodinzolare, con effetto surreale e comico… riuscendo a volte anche a distrarre dalla crisi.
Chi l’avrebbe detto, che ‘sto volpino avesse il cuore di un leone e l’animo del therapy dog?

Bye bye, unicorns

Mi piacerebbe raccontarvi come le mie figlie, 13 e 8 anni, vivono a scuola il fatto di essere disabili, non “speciali”, diverse, con delle capacità diverse e a volte minori, diciamocelo pure, a volte maggiori, rispetto ai loro compagni.
La grande manifesta grande insofferenza, fino al rifiuto, quando viene incoraggiata e lodata in modo sperticato per cose che per lei sono semplici. Non sopporta i complimenti, o perlomeno li vive con grande sospetto e spesso fastidio, perché è in grado di capire benissimo quando sono fondati e quando sono dati “perché è disabile” e quindi – lei pensa – non ci si aspetta tanto da lei. Questo crea anche problemi pratici a scuola, e non indifferenti, fino a non riuscire a lavorare con alcuni dei docenti.

La piccola più o meno uguale, si rende perfettamente conto di essere parecchio indietro negli apprendimenti, si arrabbia moltissimo quando qualcuno cerca di dirle che lei però ha tante belle qualità o è speciale o zuccherini del genere per consolarla. Una volta, durante una di queste crisi di rabbia, mi sono stufata anche io di fare evoluzioni concettuali per nascondere il segreto di Pulcinella e sono andata dritta al punto: “Teso’, è che tu sei nata con un cervello un po’ diverso e certe cose non le impari bene”. Si è fermata di botto, mi ha guardato un po’ stupita da questo improvviso momento di chiarezza materna e ha detto “ah… va bene”. E non era più arrabbiata.

E questa è stata l’allegra fine degli unicorni a casa nostra. Ci piace così. 

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Tagliare i ponti

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Si parla sempre della necessità di mantenere rapporti diplomatici con le persone “di cui potresti avere bisogno”, ma non si parla abbastanza delle potenziali conseguenze negative di ciò. Perché di solito, soprattutto in campi importanti della vita, vitali appunto, se vuoi levarti di torno qualcuno è perché ti ha causato problemi seri, non per capriccio o antipatia.
Ovvero: se un medico a me ha combinato solo casini, ma perché devo tenermelo? Perché devo mettergli in mano di nuovo mia figlia? Perché è il referente della Asl competente per territorio a cui si rivolge la scuola? Anche no, grazie.
Certo, piacerebbe a tutti avere un medico competente proprio sotto casa, e già in ottimi rapporti con la scuola delle proprie figlie. Renderebbe tutto molto più semplice.
Ma se non si può, che dovemo fa’?
Eh ma pare brutto, dicono. E sticazzi, a me pare brutto, anzi bruttissimo, aver dovuto aspettare 4 anni per una diagnosi realistica su mia figlia. Per ognuna delle mie figlie. Che ogni volta che mi serve qualcosa devo fare settimane di telefonate e anticamera co’ sta gente perché “abbiamo tanto da fare”. Che storcano il naso davanti alle soluzioni che abbiamo trovato e pagato di tasca nostra, in loro totale assenza, perché non partono da loro. Che poi oltretutto mi facciano sempre promesse che non mantengono mai. MAI.
Ma gente così, non è davvero meglio perderla che trovarla? Che saggezza c’è, nel restare legata a questa situazione, a rischio di ritrovarmi a dover gestire altri casini e perdite di tanto tempo prezioso? Meglio mollare gli ormeggi, tanto il mare aperto ormai lo conosciamo bene. Ed alla fine, ci abbiamo trovato persone migliori, che ci hanno aiutato veramente.