Eye Candy

heartlollipop

Uno dei problemi dell’essere autistica ad alto funzionamento diagnosticata da adulta è che per molti anni né te né gli altri avete mai pensato che tu potessi essere piuttosto diversa, come funzionamento neuropsicologico, dagli altri. E quindi con la diagnosi arrivano una serie di notizie, diciamo, totalmente inaspettate.

Ad esempio, mi dicono che io sono una “visual thinker”, cioè una pensatrice visiva.
Apperò.
E io che per tutta la vita son stata convinta di essere semplicemente una che pensa! Invece no, mi dicono, io penso per immagini.
Ed è vero, intendiamoci. Ma il punto è: ma perché, voi come pensate?
Se pensate qualcosa, non vi si materializza nella testa un’immagine di quella cosa, e un’immagine precisa? Se voi dite gatto, riuscite a pensare al concetto di gatto in senso astratto e ideale, come una “gattità” platoniana? “Vedete” qualcosa? Io vedo un gatto, anzi una serie di diapositive di gatti vari, alcuni conosciuti altri no ma gatti visivamente ben definiti. Essere una pensatrice soprattutto visiva ha dei risvolti interessanti, alcuni positivi altri negativi. Ad esempio, io quando progetto di fare qualcosa di complesso lo visualizzo nella testa, alla Temple Grandin (ma non bene come lei), visualizzo i vari pezzi e come vanno montati tra di loro. Se lo visualizzo, lo posso fare. Se non riesco a visualizzarlo, non provo nemmeno a farlo, non arriverei in fondo. Ci devo pensare su meglio.

Ma soprattutto, io non riesco a capire come si faccia a pensare non in immagini. Sul serio. Per me la normalità, il “pensare”, è questo, pensavo fosse così per tutti. Una vita nella menzogna.
L’unica cosa che forse mi ha fatto capire un po’ come si pensa senza immagini è stato rendermi conto che quando sono in una fase di intenso shutdown, allora le immagini spariscono dalla mia testa, che diventa un grande spazio buio. Il problema è che quando sono in shutdown non è che penso senza immagini, per me diventa proprio difficile pensare. Quindi riesco ad avere solo una pallida idea di cosa significhi pensare non in immagini.

Un altro risvolto interessante è che quello che vedo può influenzare il mio umore, in senso positivo o negativo. Lo sconforto che mi prende davanti ad una stanza disordinata, piena di oggetti e di colori che stridono, è palpabile. Al contrario, una dieta di colori armoniosi, linee pulite, ordine simmetria e pulizia sè un toccasana per la salute, meglio dello yogurt con il bifidus. Esistono persino dei video condivisi centinaia di migliaia di volte sui social, i cosiddetti “satisfying videos”, che vengono incontro al bisogno di purezza ed appagamento visuale dei pensatori visuali.

Un campo recente di studi in neuropsicologia esamina, con l’uso di speciali telecamere, dove le persone puntano il loro sguardo, cosa guardano insomma, e come lo guardano. Ed una serie di recenti esperimenti ha rilevato che, guardando ad esempio un film, gli autistici possono concentrarsi su cose diverse dai volti dei protagonisti come fanno di soliti i neurotipici. In un caso portato come esempio lampante, l’autistico stava osservando con interesse non la scena che si svolgeva tra i due protagonisti, ma un interruttore sul muro alle loro spalle. Me pare già di sentire le voci degli esperti: eeeeeh, non va beeeeeeene, troppo interesse per gli oggetti invece che per il volto umano, questi autistici…
No scusate, magari quell’interruttore è davvero più interessante della faccia degli attori. Magari erano degli attori cani, con una mimica finta o esagerata e quindi insopportabile (per un autistico). E scherzi a parte, a volte l’arredamento di un ambiente è più interessante e piacevole per lo sguardo degli esseri umani che vi si aggirano (mica tutti sono Tom Hiddleston), specialmente se i colori sono accostati in modo insolito ma armonioso. Specie, come dicevo sopra, per chi è un pensatore visivo, e dall’ambiente (rac)coglie molti più stimoli visivi di chi è un pensatore… non visivo. Platonico insomma. Cari pensatori platonici (TM), ma se voi nel cervello avete il buio della caverna di Platone, cosa rispettabilissima sia chiaro, come fate a capire, valutare e giudicare chi funziona in modo diverso e per questo fa cose diverse, trova diletto in cose diverse, vede cose diverse, ama cose diverse? Non necessariamente sbagliate, ma… diverse.

Ci sono almeno quattro film/sceneggiati che ho guardato e riguardato (e riguardo ancora!), con tanto di fermo immagine strategici, non tanto o non solo per le vicende raccontate o per i protagonisti, ma per gli ambienti in cui sono stati girati, così curati da diventare praticamente protagonisti pure loro (e se qualcuno si prendesse la briga di esaminare dove sto guardando, scoprirebbe che sto guardando la parete dietro i protagonisti umani, o il divano, o la libreria, o il lampadario…). Soprattutto, mi attraggono le palette raffinatissime su cui sono giocati gli arredamenti di interni. Direi che la mia personale predilezione è per tutti i toni di verde pavone, blu carta da zucchero, petrolio e turchese con tocchi di rosso cinabro, giallo senape e rosa antico…
Eye candy, lo chiamano gli americani, delizia per l’occhio. Balsamo per l’anima, lo chiamo io.

Buster Keaton co’ le coliche

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Sono sdraiata su una lettiga in pronto soccorso, mentre un’infermiera mi inserisce un ago cannula nel braccio sinistro. Io nel frattempo piango. “Stai piangendo per il dolore?” mi chiede lei gentilmente. No, rispondo, piango perché non mi piace essere qui. Mi guarda perplessa ma non discute. Mi lascia tranquilla mentre in vena inizia a scendere la fisiologica e qualche farmaco antidolorifico che ci hanno messo dentro. Mi copro il viso e piango un altro po’, sentendomi la creatura più sola e triste al mondo (anche se oltre questa tenda ce ne sono almeno altri tre, messi come me e con la loro flebo al braccio).

Mezz’ora dopo, l’antidolorifico ha fatto effetto, evidentemente, e stare lì al pronto soccorso improvvisamente mi piace un sacco. E’ proprio un bel posto, e potrei passarci tranquillamente il resto della nottata, se mi portano un tè e du’ biscottini. Mi rendo conto che quello che sentivo prima era dolore, non tristezza o brutti ricordi. Dolore, e basta. Tolto il dolore, sto benone.

In sostanza, come capita a molti autistici, non è che io non senta dolore, è che non riesco a identificarlo come dolore. Sto malissimo, ma non capisco che è per il dolore. Non so identificare chiaramente se è un dolore forte, anzi soprattutto se è un dolore forte. Stasera al pronto soccorso ci ho messo un po’ per trovare il coraggio di andare dall’infermiera del triage e chiedere aiuto. E’ stato un gentile signore che mi ha visto piegata in due nell’atrio che ha chiamato qualcuno per visitarmi, sennò sarei ancora lì a dirmi che forse sono esagerata, che in fondo non avevo tutto questo gran problema, bastava andare a casa e rilassarmi…

In realtà, ho una colica biliare in corso. Sto maluccio da quattro giorni, poi sono peggiorata. Ma prima ho evitato di andare da un medico, poi quando finalmente ci sono andata ho pensato che stavo così male e piangevo perché i locali del pronto soccorso mi riportano alla mente brutti ricordi per tutte le volte che sono venuta qui con l’Aspergirl. Una volta in pronto soccorso, mi hanno preso i parametri vitali e fatto le analisi urgenti, ed è uscito un quadro evidente di colica dolorosa. Io mi sono autocoglionata con discorsi pseudopsicologici, i macchinari del pronto soccorso molto più svegli di me hanno registrato una bradicardia vagale dovuta al dolore, e indici epatici e infiammatori molto alterati.

Cioè: ho scambiato le conseguenze di una condizione medica, perfettamente diagnosticabile e rilevabile in modo oggettivo con analisi ed esame obiettivo, con un fantomatico trauma psicologico del passato.
La mia ex psicanalista sarebbe fiera di me.

Ora a parte procurare figurette con i medici di cui rideranno i miei nipoti dicendosi che nonna era già rincojonita da giovane, l’incapacità di identificare e comunicare correttamente il dolore, specialmente quello viscerale come nelle coliche, non è proprio una fortuna. Non è un’anestesia (che sarebbe comunque problematica anche quella, perché non ci si accorge proprio di avere un danno fisico), è qualcosa di più sfuggente e insidioso. Si sta malissimo, al punto da non riuscire a fare più nulla. Ma non si riesce a capire bene perché. E questo è pericoloso, perché potreste andare al pronto soccorso troppo tardi. O essere troppo controllati e contenuti nello spiegare ai medici cosa sentite. Già le donne quando dicono di star male vengono prese regolarmente sottogamba dai medici, è proprio un fenomeno dimostrato, se poi siete come me il tipo di autistica con scarsa mimica faciale, che dice “sto moreeeeendo” con la faccia di Buster Keaton ecco, questo potrebbe trasformarsi in una prigione che rende difficile essere aiutati…

Vedere voci, sentire colori

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Oliver Sacks ha scritto un libro, affascinante come tutti i suoi libri (come lui, direi), che si intitolava così: Vedere voci. Il riferimento è un versetto biblico, e il libro parla del mondo dei sordi americani. In questo caso, le voci che si vedono sono la lingua dei segni, mani che si muovono nello spazio segnando una lingua con una grammatica visuo-spaziale.

Io non sento le voci, o meglio i suoni, o almeno non solo, io li vedo. I suoni creano nella mia testa una rappresentazione grafica dinamica. Anche i suoni più piccoli e insignificanti.

Ad esempio, sono sdraiata a letto, e sento un orologio che ticchetta nel buio. Non è solo il fatto che lo sento, è che non riesco a smettere sentirlo, e che nella mia testa ogni ticchettio disegna qualcosa. Per l’esattezza, traccia un percorso costituito da due curve unite da una linea retta, unite lungo un asse verticale. Un segno fucsia, luminoso, su sfondo nero. Avanti e indietro, avanti e indietro, tic e tac, tic e tac. Perché faccia questo segno e non un altro non lo so, ma sono sicura che il segno ed il colore di quel suono sono questi e non altri.

Sì ok, carino, affascinante etc… solo che provateci voi, a dormire con un cursore che va avanti e indietro nella testa. Infatti ci metto un bel po’ per addormentarmi, anche solo per suoni casuali e lontani. La mia corteccia uditiva ci mette un po’ a rilassarsi la sera e lasciare in pace quella visiva.

Mi piace ascoltare musica, spesso sempre la stessa. E nella testa mi faccio i film, anzi i video, da molto prima che inventassero VideoMusic. Una specie di Fantasia Disney in proiezione privata, sempre. La musica disegna scene, a volte anche solo linee e curve, nella mia testa, e a volte ho bisogno di disegnarle veramente nell’aria con le mani. Quando sono sola lo faccio, in pubblico ovviamente no. Questo meccanismo è ancora più forte se canto, cioè per cantare, per produrre dei suoni efficaci ho proprio bisogno di rappresentarli nella mia testa e poi nello spazio con le mani. Non posso cantare bene E stare ferma. Non mi diverte nemmeno. Deve essere per questo che mi piacciono i cori gospel, perché loro cantano con tutto il corpo. Ed io sento il bisogno di fare lo stesso. Devo essere uno spettacolo interessante quando canto, ma tanto non mi vede nessuno per fortuna. Non canto mai se qualcuno può sentirmi/vedermi. A parte le mie figlie. Che di solito mi chiedono di smettere, tesori. 😂
E non studio mai ascoltando musica in sottofondo, in realtà non riesco a fare niente con musica o persone che parlano in sottofondo, la mia CPU interiore finisce per vedere i “video” di quel che sto ascoltando invece che la pagina che ha davanti, potrei leggere quattro volte la stessa frase e non capirci niente. L’unica misteriosa eccezione sono le variazioni Goldberg di J.S. Bach, suonate da Gould, nell’edizione del 1981. Solo quelle. Hanno un ritmo ed una velocità particolare, che si vede corrispondono ad un mio ideale metronomo interiore, e mentre le ascolto riesco a fare tutto concentrandomi e quasi senza faticare, come se qualcuno appunto mi stesse battendo il tempo. Grazie, Johann e Glenn.

Operazione Lunala

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Lunala è un Pokemon leggendario, protagonista di un videogioco che l’Aspiebaby agogna e che le è stato promesso per quando avrà finito di curarsi un paio di antipatiche cariette.
Tra mia figlia e Lunala, dunque, c’è il dentista. Anzi, la dentista, perché la nostra è una dentista, giovane, preparata (fondamentale), simpatica (altra cosa fondamentale), disponibile (assolutamente fondamentale pure questo) e che ha capito che qui, con questa Aspiebaby, ci vuole una strategia e tanta pazienza.
Perché l’Aspiebaby ha la fobia di qualunque procedura medica, fobia che condivide con l’Aspergirl, e rende uno sbarco in Normandia pure l’andare a fare un semplice controllo di salute… figuriamoci un vaccino o andare dal dentista.

E quindi è nata Operazione Lunala, nome non ufficiale per tutte le procedure e strategie per riuscire a curare queste due carie all’Aspiebaby, aiutandola a superare ansia e panico, senza dover ricorrere all’anestesia generale (inutile che fate quella faccia, si fa eccome in casi del genere, quando serve). Un pokemon leggendario per un’impresa che resterà nella leggenda.
Abbiamo iniziato prendendo appuntamenti settimanali con la dentista. Una volta a settimana, con cadenza regolare, in modo che diventasse una cosa più consueta, che si creasse un’abitudine, qualcosa di più familiare. Ad ogni appuntamento, si ripete il rituale: i dentini vengono spazzolati, puliti, esaminati, ed in questo modo si inizia a prendere confidenza con i vari strumenti. Se uno strumento si rivela proprio avversivo, si mette da parte per ora, si cercano alternative. Pian piano, ogni volta, si riesce a far familiarizzare l’Aspiebaby con qualche procedura un po’ più “invasiva” della volta precedente, e si va avanti, piano e senza strappi. Chi va piano, va sano e va lontano.

Bisogna fare attenzione ai tempi d’attesa, che per una piccola Aspie (ma pure per un’Asperger più grande) sono quelli che fanno montare l’ansia: il cervello parte per conto suo e una volta che l’ansia è sopra i livelli di guardia resta poco da fare. Quindi, prevenire: noi non entriamo nello studio del dentista fino a quando non è proprio il nostro turno, niente più sala d’attesa. Siamo lì vicino a caccia di pokèmon o a bere un succo di frutta al bar, e appena è il nostro turno ci chiamano al cellulare per avvisarci, entriamo e andiamo dritte alla poltrona.
La dentista spiega. Spiega tutto: cos’è quello strumento, a cosa serve, glie lo fa toccare, provare su un’unghia o su un dito così si rende conto che non è niente di ché, poi chiacchiera mentre lavora, le chiede di collaborare, si ferma appena Aspiebaby segnala che sente male o disagio, e poi di nuovo spiega e chiacchiera, chiacchiera per distrarre la piccoletta, chi l’avrebbe detto che per fare il dentista devi essere un po’ cabarettista? L’Aspermom è presente in un angolo, cercando di aderire il più possibile all’intonaco e farsi tappezzeria, per non interferire (o meglio, per non farsi dire che interferisce), oppure ogni tanto azzarda una battuta o un massaggio leggero ai piedi per distrarre almeno un po’ Aspiebaby da quello che sta succedendo nella sua bocca. Se Aspiebaby inizia a stancarsi troppo, inizia a piangere… si valuta se è il caso di fermarsi, oppure si cambia per un attimo lavoro, si fa un’ultima cosa, qualcosa che magari darà la scusa per rivedersi la settimana prossima.
E così andiamo avanti, una settimana dopo l’altra, senza mai forzare troppo la mano. Si naviga un po’ a vista, si corregge la rotta, dopo ogni appuntamento ci si dice cosa è andato bene e cosa no, in modo da non ripetere gli errori. Ogni volta un piccolo progresso, un regalino inaspettato per motivarla, un sacco di complimenti, un po’ più vicini al traguardo Lunala.

Tanto poi c’è poco da riposare sugli allori, finito con il dentista toccherà alla visita oculistica con goccine di atropina per vedere il fondo dell’occhio, e lì che m’invento??
No, decisamente non mi annoio mai.

Sperare non costa nulla

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Oggi un pensiero mi ha attraversato gli emisferi: ma fosse che adesso, dopo la puntata di The Good Doctor in cui Shaun Murphy in prima serata sulla rete nazionale spiega ai barellieri e al chirurgo che il ragazzo autistico non sopporta di essere toccato ed è per quello che si agita e grida, ecco fosse mai che adesso se dovessimo per caso cornafacendo finire di nuovo in un pronto soccorso con l’Aspergirl il personale lì finalmente capirà che PORCALAMISERIAZZOZZALADRA, NONLADOVETETOCCA’?

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Penso che tutti avranno presente una delle prime scene del primo episodio di The Good Doctor, quella dove inizia lo spettacolo, in un certo senso: una grossa insegna aeroportuale cade accidentalmente, una pioggia di vetro investe un ragazzino, nella concitazione dei primi soccorsi Shaun si dimostra sorprendentemente capace di fare la cosa giusta. La vicenda poi si dipana per tutto l’episodio intervallata da altre storie complementari di cui, diciamocelo, non ce ne frega una beneamata ceppa.

Ora, tornando alla scena di cui dicevo, ci sono due cose che sono molto autistiche, e bravi gli sceneggiatori che le hanno inserite. La prima, la valvola unidirezionale improvvisata con una bottiglia di whisky, qualche tubo di gomma e scotch da carpentiere. Qui Shaun dimostra la capacità di vedere gli oggetti al di fuori degli schemi, degli utilizzi consueti, e costruire prima di tutto nella sua testa, visivamente, e quindi poi nella realtà, qualcosa di nuovo da oggetti consueti. Quella strana capacità di combinare in configurazioni nuove e con usi non standard gli oggetti per risolvere problemi che, credo, molti di noi condividono e che ti fa per esempio improvvisare un ciuccio con una caramella gommosa ed una bustina di plastica, così tua figlia smette di urlare perché ha perso il ciuccio all’Ikea… McGyver, uno di noi.

La seconda cosa è il sorrisetto beato di Shaun mentre fa quel che fa. Fateci caso. Non è teso, non è preoccupato, meno che mai angosciato. Si sta divertendo. Si sta divertendo, in mezzo a quella situazione pazzesca, perché sta facendo quello che gli piace fare, che sa fare molto bene, e questo gli procura un innegabile senso di appagamento. In quel momento, è un surfer che sta cavalcando l’onda. E prima che qualcuno storca il naso perché in una situazione del genere si sta divertendo, pensate che è il divertimento di Shaun che salva quel bambino. E’ il fatto che Shaun ricavi così tanto piacere dallo studio della medicina e del suo esercizio, che rendono possibile la sua conoscenza ed efficienza. E’ la passione di Shaun, il suo interesse assorbente in termine tecnico, a salvare il ragazzino. Ed è una sensazione che io credo molti autistici sperimentino quando c’è una situazione di emergenza o anche solo un problema da risolvere, ed è un problema in un campo che quell’autistico conosce bene, e allora al di là del problema, al di là dello stress, al di là della difficoltà ed anche del dolore se è presente, c’è l’entusiasmo dei neuroni che si buttano nella mischia gridando “EVVAI, TOCCA A NOI, DOBBIAMO TROVARE UNA SOLUZIONE!”. Io la conosco, quella sensazione, l’ho sentita nelle situazioni più disparate e anche più disperate, anche in un pronto soccorso, anche se la cosa mi riguardava personalmente, perché c’è sempre una parte di me che affronta le cose in quel modo. E meno male che c’è. Perché è da lì che vengono le soluzioni, alla fine.
Quindi grazie a The Good Doctor che, in mezzo a tutte le polemiche, mi sta regalando la possibilità di riflettere un po’ su come siamo, come sono.