Di sabbia, nebbia e luce felice

shimmering

1) Tempo fa accompagnavo l’Asperboy a uno dei periodici appuntamenti dal dentista. Per gestire meglio le situazioni quando lui è sulla poltrona del paziente a me tocca stare in un angolo della stanza pronta a intervenire se necessario. Lui sotto il trapano, diciamo, ed io sotto pressione. E infatti mentre ero lì nel mio angolino quel giorno e guardavo mio figlio sobbalzare e contrarsi per il fastidio ho iniziato a sentire l’ansia che montava, una gran voglia di alzarmi e scappare, il tutto condito di tristezza e inquietudine, insomma una situazione per me sgradevole. E l’ho attribuita alla tensione perché lì davanti mio figlio, sangue del mio sangue, stava passando un brutto quarto d’ora. Soffrivo per lui insomma.
Poi, siccome giro sempre con gli occhiali da sole e i tappi per le orecchie in borsa, ho pensato di mettermeli. Le onnipresenti luci al neon le percepivo molto meno, il rumore scavanervi del trapano anche. E dopo qualche minuto mi sono accorta di una cosa strana: l’ansia era sparita. La voglia di scappare anche. Ho guardato mio figlio sulla poltrona, ho fatto spallucce e ho pensato allegramente “vabbeeeeeee’… sopravviverà”.

2) Negli ultimi anni ho avuto crescenti difficoltà a studiare, in particolare a leggere. Leggere era diventato faticoso, dovevo rileggere la stessa frase più volte per assimilarne il contenuto, e comunque dopo poco mi fermavo e mettevo via il libro. Era una cosa molto deprimente. La definivo nebbia cognitiva, ma di quella che si taglia con il coltello. Poi ho scoperto le lenti di Irlen, che lavorano diminuendo lo stress visivo, e bam, di colpo riesco di nuovo a leggere molto più scorrevolmente. E’ bastata una lente filtrante che filtra le frequenze di luce specifiche a cui il mio sistema nervoso è ipersensibile. Non stavo proprio rincojonendo, insomma, era lo stress visivo crescente (età, malattie) a impastoiarmi le facoltà cognitive.

3) Decido di andare in centro nonostante ci sia uno spettacolo di carri allegorici con musica fortissima, e non ho dietro le cuffie. Più mi avvicino più mi sento male, veri e propri crampi alla pancia. Alla fine decido di tornare a casa rapidamente pensando di avere un attacco di colite, insomma mi serve un bagno alla svelta. Arrivo sotto casa e non ho più niente. Allora ritorno verso il centro. Più mi avvicino al rumore e più i crampi ritornano. Faccio di nuovo la prova: se mi allontano i crampi passano. In pratica, capisco che ho i crampi per il rumore. L’espressione “questa musica fa ca’are” assume di colpo nuovi inaspettati significati…

4) Sono a lezione, all’università. Il docente decide che invece di proiettare le immagini sullo schermo tenendo le luci accese in modo che si possano prendere appunti è meglio farlo con le luci spente, perché si vede meglio. Il contrasto tra lo schermo violentemente illuminato ed il resto della sala buia è evidente. Improvvisamente inizio ad avere sonno. Non riesco a tenere gli occhi aperti, passo il resto della lezione a lottare faticosamente contro questa specie di torpore. Non capisco come mai, perché in realtà ho dormito la notte scorsa. Finisce la lezione, mi alzo per uscire, stranamente il sonno mi passa.

5) Sono a casa, dovrei riordinare. Ho addosso dei vestiti scomodi per me, sono troppo caldi, stringono, è come se ne sentissi il fastidio ad ogni movimento. Non riesco a mettere insieme un piano d’azione per riordinare le cose, vago per la casa inconcludente, mi accorgo che cerco istintivamente di restare ferma il più possibile. Poi decido di cambiarmi, metto su una canottiera e un paio di pantaloncini corti larghissimi, sticazzi l’eleganza. Improvvisamente divento la mano destra di Dio, ho chiaro in testa cosa fare, inizio a farlo e nel giro di poco tutto quello che volevo sistemare è a posto, ordinato e pulito.

Potrei continuare con gli esempi, perché ne trovo ogni giorno di nuovi, ma il succo di tutta la questione è: la percezione sensoriale in una persona autistica come me non si limita al solo senso interessato direttamente, e nemmeno ai soli sensi in generale, come si potrebbe pensare. Ha a che vedere con l’elaborazione della percezione stessa, con l’integrazione cognitiva, con le funzioni autonomiche, con le funzioni esecutive, persino con le emozioni.

Il concetto di “stress visivo”, per esempio, non è qualcosa limitato alla sola vista. Non è che semplicisticamente “mi dà fastidio troppa luce”, come se fosse una questione di abbagliamento e via, è tutto il sistema che in presenza dello stimolo eccessivo viene impacciato in modo subdolo. Lo stress è di tutto l’individuo. Quando ho le mie lenti Irlen non solo sono più lucida, capisco le cose con meno fatica, funziono con meno fatica, ma  vedo tutto più felice. Non trovo parola migliore per definirlo: quando ho lenti di Irlen, le cose che vedo per me diventano più luminose e felici (e io pure). Ci sono persone, come mio figlio, che in presenza di luce eccessiva non adeguatamente filtrata possono avere addirittura delle violente derealizzazioni. Io no, ma è come se avessi una sorta di leggera derealizzazione costante, come se camminassi su una sabbia che mi rallenta… in modo impercettibile, ogni singolo momento, ma alla fine la stanchezza si accumula.

Ecco, una delle cose da tenere presenti con l’ipersensorialità è che può essere subdola. Vuoi perché come cultura non siamo abituati a prenderla in considerazione, non la conosciamo, c’è una sorta di rimozione collettiva, di ignoranza profonda rispetto alla sensorialità neurodiversa, al punto che manco i neurodiversi se ne rendono conto… Vuoi perché per gli autistici sembra essere spesso più difficile identificare ed etichettare correttamente emozioni e sensazioni. Il risultato finale è quello che vedete negli episodi raccontati sopra: non si pensa che si possa arrivare a star male o a non funzionare per una questione di sovraccarico sensoriale. Non si pensa che un sovraccarico sensoriale poi diventi un sovraccarico di tutto il sistema, fino alle funzioni superiori. Ma è esattamente quello che succede.

Non so spiegarmi perché l’aspetto sensoriale dell’autismo sia stato così a lungo trascurato, al punto da apparire nei criteri diagnostici solo con l’ultima edizione del DSM. La cosa peggiore è che in conseguenza di questa rimozione culturale un intero sistema di cure, gestione, educazione, intervento, chiamateli come vi pare, è stato messo su e portato avanti per decenni per gli autistici ignorando questo aspetto così importante, così determinante per lo sviluppo ed il funzionamento della persona autistica. Ed è più che un peccato, è una cosa che grida vendetta davanti a Dio e agli uomini, perché ha significato e significa ancora oggi mettere gli autistici in condizioni di inutile fatica e appesantimento mentre cercano di fare le cose che tutti facciamo. Ci vuole un ripensamento alla luce della consapevolezza che abbiamo oggi. Pensate per esempio al bambino autistico che in classe cerca di capire cosa voglia da lui l’insegnante e cosa deve fare, mentre luci o suoni disturbanti sovraccaricano il suo sistema in modo subdolo e continuo impedendogli di capire al meglio delle sue possibilità, pensare al meglio delle sue capacità, agire al meglio, sentirsi di buon umore e positivo… In pratica, è come chiedere ad uno scalatore di andare in parete con dei pesi supplementari attaccati a braccia e gambe che lo rallentano e lo stancano molto più del necessario. E gli fanno pure girare le scatole. Meglio di no, che ne dite?

EDIT: esistono sostrati neurologici per questo tipo di fenomeni. Le aree cerebrali deputate alla ricezione e  processamento delle nostre percezioni sensoriali a livello talamico, che è il primo “centro di smistamento” per queste informazioni, hanno collegamenti anche con altre aree, per esempio con quelle deputate al controllo autonomico dell’organismo, o anche alle reazioni emotive (vecchi ricordi di università).  Negli autistici alcuni canali sensoriali sono maggiormente rappresentanti a livello di connessioni cerebrali, poi. E questo può spiegare perché differenti percezioni visive, ad esempio, in una persona autistica profondamente visiva possano rendere più tristi o allegri senza un apparente perché.

(nella foto, installazione Light is Time di Tsuyoshi Tane, foto di Takuji Shimmura)

Il prezzo della passione

swissarmyknife

No, non è il titolo di una telenovela o di un romanzo Harmony. E’ una riflessione sull’aspetto pratico ed anche economico degli interessi speciali, specie di quelli davvero assorbenti e che sai – lo sai per esperienza ormai – che comunque non dureranno in eterno. Al momento sono in fissa con i viaggi, o meglio con il packing per i viaggi. Come fare i bagagli, cosa portare e cosa no, come impacchettare nel modo più efficiente, quali sono le borse valigie trolley e gadget per viaggiatori più utili e tecnologicamente avanzati etc. Diciamo che è un paio d’anni che ho questo interesse e quindi ho accumulato una conoscenza enciclopedica dei modi di piegare un paio di mutande per occupare meno spazio in valigia, e come fare le valigie portandoti pure i tuoi due pitoni domestici discretamente dissimulati in un bagaglio da cabina, ma anche una discreta quantità di oggetti ad hoc: zaini tecnici, gadget elettronici e non, packing cubes, abbigliamento multifunzione e convertibile da viaggio etc.. Detta in altre parole, Hillary sull’Everest era un boy scout al mio confronto. Ed ora arriviamo alla questione: io non sono Hillary che deve andare sull’Everest, io sono una normalissima autistica per di più con una salva di malattie croniche per cui non sull’Everest, ma manco sul Monte Pelato qui vicino a Pisa andrò, probabilmente… e tutte queste cose rappresentano un investimento economico notevole, se le mettete tutte insieme. E poi non sono proprio una globe trotter, tengo famiglia, figli, cani, insomma io sono attrezzatissima per viaggiare, ma viaggio per brevi distanze di solito. L’anno scorso la maggior parte dei viaggi sono stati per andare a trovare i miei e frequentare un master due volte al mese a 300 km da qui. Facevo su e giù come un criceto sulla ruota, in sostanza, ma un criceto con una ruota fichissima e attrezzatissima, sia chiaro.

Quindi spesso mi chiedo: vale la pena? E’ saggio? E’ sostenibile economicamente?
Da un punto di vista neurotipico, sicuramente no. Infatti mio marito alza gli occhi al cielo rassegnato e protesta con viva e vibrante indignazione ad ogni strano acquisto. Da un punto di vista autistico, questo è un interesse speciale ed è meglio del Prozac per mantenere alto l’umore, a bada le ossessioni (quelle vere) ed avere un buon funzionamento anche sociale*.

Agganciarsi all’interesse speciale è fondamentale per tirar fuori l’autistico dal buco in cui spesso finisce per due motivi: da un lato, la difficoltà di interazione con il mondo esterno, che lui non capisce e che non capisce lui e quindi genera frustrazione e ansia, e dall’altro l’iperfocus appunto su argomenti che lo appassionano al punto che non gli interessa a paragone fare altro.
Chiaramente non basta avere un interesse speciale e basta, bisogna anche gestirlo in modo intelligente perché diventi un traino per il resto. Nel mio caso, è andata a finire che a forza di leggere siti che parlano di viaggio… ho organizzato qualche viaggio, e l’ho organizzato anche per il piacere di preparare i bagagli e sperimentare tutta la mia fantastica attrezzatura e vedere se è così efficiente e utile. Organizzo viaggi con la mia famiglia, quindi non solo esco di casa e dalla mia comfort zone io, ma anche i miei figli. E questo è solo un bene: affrontiamo imprevisti, ci adattiamo a circostanze diverse dalle solite, mangiamo cose nuove, vediamo gente, facciamo cose. Sono esperienze sul campo che nessuna psicoterapia potrà darti, se vogliamo fare il paragone con qualcosa che spesso si consiglia agli autistici in difficoltà.
Sapere che parto con la mia attrezzatura e pronta a quasi tutte le evenienze mi aiuta a superare l’ansia all’idea che se usciamo dalla comfort zone potrebbe capitare qualche imprevisto catastrofico ed io potrei ritrovarmi impotente (intendiamoci, gli imprevisti ci saranno, e qualcuno moderatamente catastrofico,  e lo so, ma parto più tranquilla se sono attrezzata).

Quando il mio interesse speciale era la profumeria, andavo quasi tutte le settimane alla profumeria storica della mia città e provavo i profumi proposti, intrattenendomi a parlare con la proprietaria e la sua collaboratrice. Frequentavo forum su internet sull’argomento, ho conosciuto una persona che è diventata una cara amica così, ho fatto viaggi, di nuovo, per andare a conoscere persone e partecipare a manifestazioni sull’argomento, o andare a scovare profumi d’epoca in profumerie lontane… Avere un interesse speciale può non essere solo stare chiusi nella propria stanza a leggere materiale sull’argomento.

Quindi la risposta alla faccia perplessa di mio marito e alla sua domanda “ma cosa te ne fai di questo?” quando arriva uno dei miei acquisti per interesse speciale potrebbe essere “ci vivo, ci resto viva, e funzionante, ecco cosa ci faccio”.

Ovviamente, la cosa va presa cum grano salis. Non è che basti dire “è un interesse speciale” e con quello si giustifica pure l’acquisto del trentordicesimo zaino super accessoriato da DJ anche se tu non sei un DJ (che però credetemi, è fighissimo, ha pure i compartimenti per cavi e casse audio!). L’autistico *veramente* appassionato è *veramente* a rischio di spendere un sacco di soldi per seguire il proprio interesse, rischia di diventare una dipendenza peggio delle slot machine, ed è qui che deve intervenire una pianificazione delle spese, e un po’ di continenza. Per esempio, fissarsi un budget mensile e non sgarrare (vabe’, non troppo, via). Oppure chiedersi millemila volte se è proprio vitale, necessario, assolutamente imprescindibile… (e rispondersi onestamente). Se non esistano versioni più economiche e ugualmente soddisfacenti per i propri rigidi standard (o se questi standard non si possano un po’ ammorbidire). O anche, altra cosa che fa benissimo, se non sia possibile  costruirsi qualcosa di simile da soli. Nel periodo in cui avevo i bambini piccoli mi sono appassionata di baby carriers, tutto quello che permette di portare i bambini sulla schiena o comunque addosso senza faticare. Fasce, sling, baby bag, nominatene una, io l’ho usata. Sono diventata l’esperta mondiale in fatto di fasce, ovvio, e le ho volute provare *tutte*. Le avevo tutte, quindi, ma alla fine ho imparato a farmele da sola, e l’Aspiebaby aveva il suo mei tai estivo e quello invernale, pezzi unici e personalizzati fatti da me. Con ricadute positive non solo sul portafogli, ma anche sulle mie abilità manuali e la mia autostima. Win-win!

* NO, non sto dicendo che potete smettere di prendere il Prozac e buttarvi sugli interessi speciali. Ho usato un’iperbole, in realtà sto dicendo che gli interessi speciali sono vitali per il benessere psicologico di una persona autistica. E aiutano, quello sì. Ma se il vostro medico vi ha prescritto dei farmaci e avete dei dubbi parlatene con lui assolutamente, prima di travisare quello che leggete su un blog squinternato e neurodiverso e combinare un casino, ok?