Struzzi e parolacce

Come sicuramente avrete notato, le pagine di questo blog sono piene di parolacce. Cazzo, fanculo e persino autismo.

Perché autismo, nel caso non ve ne siate accorti, è una parolaccia. La parolaccia peggiore di tutte, anzi, quella che nessuno vorrebbe mai sentir pronunciata. Soprattutto riferita a un figlio, ma pure a sé stessi eh.
E quindi, per venire incontro a questa per certi versi umana e comprensibile esigenza, sono nate varie soluzioni.

Una delle soluzioni più adottate è… non dirla, non scriverla, e magari se appena è possibile utilizzare un’altra etichetta diagnostica, più soft, che magari è presente e può fungere da comodo schermo.

Una di queste per esempio è ADHD. Sì, è vero, l’ADHD si presenta spesso assieme all’autismo, fino al 70% delle persone autistiche soddisfano i criteri per una diagnosi di ADHD. Insomma sono autistici E ADHD. E fin qui tutto bene. Il problema è quando si vuole avere solo l’etichetta di ADHD, e allora tutta una serie di caratteristiche *autistiche* rompono un po’ le palle, perché ci sono, e sono evidenti magari, e quindi che si fa? Si nascondono? Uhm, è piuttosto difficile. La geniale soluzione (sarcasm) è… dire che sono caratteristiche ADHD e tacere sul resto. Ho appena finito di calmare l’Asperboy sull’orlo di un meltdown perché ha trovato una pagina Instagram in cui una tizia con circa 200.000 follower, che dichiara di essere ADHD, dispensa perle di disinformazione tipo “lo stimming è una caratteristica ADHD” oppure “l’ipersensorialità è ADHD e può portare a overload sensoriale” etc etc . E ok, l’ADHD è una neurodiversità, i ragazzini ADHD possono fare stimming, possono avere problemi di sovraccarico sensoriale dovuti a troppi stimoli, ma se ti ritrovi tutta una serie di cose in fila, io il dubbio che forse non è solo ADHD me lo farei veni’ eh… Proprio perché se è vero che una buona fetta di autistici è anche ADHD, allora una buona fetta di ADHD è pure autistica. E no, non è esattamente la stessa cosa, e se ti vai a ripassare i criteri diagnostici per l’uno e per l’altra, gentile tizia di Instagram, forse impari qualcosa.

L’altra grande etichetta di comodo è disprassia. Si può dilatare all’infinito la descrizione della disprassia mettendoci dentro di tutto, pure cose che con la disprassia scusate ma non c’entrano una mazza. Mi è capitato di trovarmi sotto il naso descrizioni cliniche della disprassia che leggendole mi veniva spontaneo dire “aaa’ coso, ma non lo vedi che è autismo???”. No, non lo vede perché non lo vuol vedere, perché è molto meno tosto dirsi che hai un figlio disprassico piuttosto che autistico. La disprassia non la conosce quasi nessuno, in realtà, quindi non ha attaccato lo stigma dell’autismo. E quindi si va in pellegrinaggio diagnostico da chi ti dice qualcosa di rassicurante e socialmente presentabile, e badate che lo capisco, ma no, non si può fare così, alla lunga non funziona.

Infine, last but not least, c’è la plusdotazione cognitiva. Detta in poche parole, la genetica della plusdotazione cognitiva e quella dell’autismo comunemente detto Asperger sono correlate. Significa che un’intelligenza diversa, capace di performance elevate, ha una struttura tale che non solo è capace, appunto, ma è anche autistica. E più alto è il QI, maggiore la probabilità che chi ce l’ha sia autistico. Sopra il 180 di QI tre persone su quattro certificate con plusdotazione sono autistiche.
Ma, lo avrete già capito, è più figo dire che c’hai il figlio con un QI da Steven Hawking, che dire che è *anche* autistico. Quindi nonostante i dati ci dicano diversamente, ci sono specialisti della plusdotazione che non diagnosticherebbero un autistico manco sotto tortura, e genitori che attribuiscono le evidenti difficoltà sociali e della vita quotidiana al fatto che il pargolo è troppo intelligente per il resto del mondo. Be’, a rischio lapidazione diciamolo, anzi scriviamolo: se hai dovuto porta’ tuo figlio da uno psicologo o un npi a far vedere, significa che qualche problemino più grosso dell’intelligenza stellare ce l’aveva. Poi vedi tu, ma io un secondo parere lo sentirei (io l’ho fatto quando mi hanno detto che l’Aspiebaby era solo ADHD e intelligente, ed escludevano l’autismo. Sì certo, come no)

Ora, qual è dal mio punto di vista il problema di questo umanissimo struzzeggiare? Perché non li posso lasciare in pace a vedere quel che vogliono vedere e a non vedere quello che non vogliono vedere? Be’, perché è come quando hai malditesta e qualcuno siccome avere il malditesta non è figo decide che hai maldistomaco e invece di un’aspirina ti dà un antiacido. E il tuo malditesta te lo tieni e cavoli tuoi.
Perché in sostanza io devo ancora trovare qualcuno che mi dica “è stato proprio bello crescere senza sapere di essere autistico, mi ha fatto proprio bene”. Semmai il contrario, le persone dicono “se lo avessi saputo, se mi avessero capito, se avessi avuto il giusto sostegno, la mia vita sarebbe stata più facile, sarei riuscit* a fare le cose che volevo…”.
Insomma vedete un po’ voi, se è il caso di non vedere.

L’obsolescenza della conoscenza

Permettetemi di tornare un attimo sulle questioni aperte dall’articolo di Repubblica che citavo ieri.

C’è un problema nel mondo dell’autismo, e della psichiatria e neuropsichiatria in generale. E’ il problema dell’aggiornamento. E faccio un esempio di cui ho anche esperienza personale (purtroppo).

Nella psicologia esistono scuole di pensiero o approcci totalmente ascientifici. Cioè che postulano cose mai dimostrate e soprattutto non dimostrabili né in un senso né nell’altro, quindi totalmente al di là della possibilità di ragionarci in termini scientifici. Eppure c’è chi ci crede e ci va dietro.

La psicodinamica è l’esempio più lampante e anche più deleterio. In poche parole, la psicodinamica è l’incarnazione moderna della psicanalisi. Ve lo dico in parole molto terra terra: Freud a un certo punto ha capito che i sogni presentavano dei contenuti importanti della mente della persona. E fin qui, ci possiamo stare. Poi però ha cercato di dare di questi sogni una interpretazione sua che non sta né in cielo né in terra, e da lì ha ricavato tutta una serie di postulati, tipo l’esistenza dell’inconscio e dei suoi contenuti e meccanismi, che da un punto di vista scientifico sono irragionevoli. Come fai a dimostrare l’esistenza dell’inconscio o dei suoi contenuti? Li puoi osservare? No. Quindi, puoi inferire la loro esistenza e il loro funzionamento con studi o osservazioni? No. Le teorie della psicodinamica non sono né dimostrabili come vere né falsificabili, cioè dimostrabili come false, perché semplicemente non sono ipotesi scientifiche. Sono altro.

Ora, cos’avrò mai contro le teorie non dimostrabili? Niente per le teorie in sé, sono una roba pittoresca, anche interessante come fenomeno culturale, un po’ come l’astrologia rinascimentale.

Quello che mi allarma parecchio è quando si pretende di aiutare o curare chi ne ha bisogno sulla base di queste teorie. Perché la cantonata è appena dietro l’angolo.
E infatti cosa è successo con la psicodinamica e l’autismo? Che siccome la psicodinamica ha la pretesa di spiegare *tutto* il funzionamento della mente umana, di qualunque mente umana, e tende a spiegare tutti i problemi in termini di pregressi traumi infantili, ha deciso che pure l’autismo era causato da traumi. Traumi precocissimi, profondissimi e – ecco qui il trucchetto – inconsapevoli. Perché tu hai un bel dire a un operatore di scuola psicodinamica che non ti riesce proprio di ricordare nessun evento o periodo particolarmente traumatico di tuo figlio per cui potrebbe presentare poi in seguito comportamenti o sintomi disfunzionali o disturbi dell’apprendimento… il trauma c’è di sicuro, viene dato per scontato, e se non è evidente è solo perché tuo figlio lo ha sepolto nell’inconscio e tu sei in fase di negazione. Ma c’è, ci deve essere. E quindi tuuuuutta la famiglia deve andare in terapia alla ricerca del trauma perduto, in quella che più che una terapia però sembra un vago cercare di acchiappare l’aria con un retino. Tradotto: una solenne perdita di tempo. Ma a 60 euro l’ora.

Il campione delle teorie deliranti sulle cause dell’autismo è stato Bettelheim alla metà del secolo scorso, con le sue teorie sulle madri frigorifero, che con la loro freddezza e anaffettività *inconscia* (sempre lì il trucchetto) causavano un tale trauma precoce e *inconscio* al bambino che questi si ritirava in sé stesso sviluppando appunto l’autismo.
E quindi vai di sedute di psicanalisi costosissime e vai di colpevolizzazione delle madri. Il bambino non migliorava, la madre si sentiva una merda, un disastro su tutti i fronti. Oggi Bettelheim non c’è più ma i suoi seguaci esistono ancora, non mollano, e quindi ancora oggi ci ritroviamo con diagnosi fantasiose e arzigogolate di disturbi della sfera affettiva con scappellamento a destra pur di non ammettere che è autismo, e conseguenti proposte terapeutiche che non servono.

Perché l’autismo, oggi lo sappiamo al di là di qualsiasi ragionevole dubbio, è una neurodiversità su base genetica, e se fattori ambientali contribuiscono non sono la mamma elettrodomestico, ma semmai inquinamento, alimentazione prenatale etc.

Quindi alla fine di tutto questo che in fondo è pure uno sfogo, cosa vorrei dire? Vorrei dire che io vi capisco e vi so’ nel cuore, psicodinamici tutti nella neuropsichiatria infantile (e non). Avete studiato per anni e anni, vi siete fatti un mazzo così sui libri, avete pure pagato un botto di soldi alla scuola di specializzazione e probabilmente pure al vostro psicanalista supervisore, insomma vi siete formati in quella che cento anni fa, CENTO ANNI FA, era l’avanguardia del pensiero psichiatrico, e cinquant’anni fa ancora veniva guardata come ragionevole. Ma oggi siamo andati avanti, santamerenda. Oggi sappiamo che le cose stanno diversamente. E come qualsiasi professionista di qualsiasi campo bisogna aggiornarsi. La scienza va avanti, le conoscenze vanno avanti, quello che ieri era geniale oggi è diventato obsoleto magari. E lo so, è faticoso, tocca rimettere in discussione tutto, tocca rimettersi sui libri, tocca dirsi pure oh cavolo ho toppato. Ma va fatto, non ci sono scuse, è come se oggi pretendeste di collegarvi a Internet con un Texas Instruments, che il 75% di chi legge dovrà googlarlo per capire cos’è perché è fuori mercato da almeno 30 anni anche se allora pareva chissa ché… Compratevi un Mac, aggiornatevi sull’autismo, ed entrate nel mondo moderno.
Oppure, per favore, levatevi dalle palle.

Le diagnosi volanti

Leggo oggi su un post di Repubblica che, a quanto pare, sta crescendo a dismisura il numero di bambini “colpiti da una neurodiagnosi”. Dice proprio così, colpiti. Da neurodiagnosi. Mo’ le diagnosi volano in giro come frisbee, ho pensato, e ogni tanto beccano qualcuno in testa, si vede.

Il post prosegue con altre scelleratezze tipo definire l’autismo una disabilità cognitiva, e sostenendo che le diagnosi di dislessia e DSA in generale sono aumentate a dismisura, troppo. Grazie tante, Repubblica, è da relativamente poco che sappiamo cos’è la dislessia e quindi possiamo diagnosticarla. Ma, come per gli autistici, i dislessici sono sempre esistiti. Solo che si beccavano la diagnosi non ufficiale di pigro, svogliato, somaro, distratto etc etc. Se oggi le diagnosi aumentano è solo perché finalmente le fanno, benedetta pazienza.

Quindi, Repubblica, adesso ripeti con me: l’autismo non è una disabilità cognitiva, è una neurodiversità che può essere accompagnata da disabilità cognitiva, ma sono due cose diverse; le diagnosi di dislessia e DSA in genere sono grosso modo quelle attese dalle stime di prevalenza nella popolazione, non di più (anzi semmai di meno, ancora); e infine la diagnosi non è uno strano oggetto contundente, è un utile strumento di lavoro per aiutare tanti bambini che altrimenti sarebbero etichettati molto male (vedi sopra).
Ce la potete fare.