In questo periodo mi sono rimessa studiare e sono iscritta ad un master sull’argomento autismo. Ed è un master molto ben fatto, anche con un approccio decisamente all’avanguardia… per essere un approccio medico e neurotipico. Infatti, durante le lezioni, mi capita di dover ascoltare, tanto da alcuni docenti quanto da colleghi la solita sfilza di “patologia autistica, deficit di questo, assenza di quell’altro, incapacità di sopra, carenza di sotto”.
E’ faticoso, veramente, ogni tanto mi piglia pure male, mi alzerei per andare a sbollire in bagno l’irritazione, solo che da brava nerd autistica sono in prima fila, anche per evitare tutta l’interferenza visiva che avrei dalle file in fondo, quindi resto lì e recito ooommmmmmm dentro di me. Però ogni tanto qualcosa provo a buttarla lì, come intervento, per dare un indizietto che esiste anche altro, oltre alla tragggedia. Così capita che un docente chieda all’aula di fare qualche ipotesi sul perché soggetti che hanno un deficit della reciprocità socio-emotiva come gli autistici sviluppino anche una ricerca di costanza, delle condotte ripetitive, interessi ripetitivi, stereotipie motorie. E lì la nerd in prima fila (yours truly) alla fine alza il ditino e molla l’eresia: perché è bello, è stabilizzante, fa sentire bene.
Il docente chiede chiarimenti, dice che di solito il concetto viene espresso nel modo opposto, ipotizzando che si ricerchi la stabilità perché le interazioni sociali sono frustranti, definisce la mia uscita “una prospettiva interessante”, e siccome che so’ autistica e ste cose non le capisco bene, non so se sia un modo gentile di dire “‘ggesùggesù cosa mi tocca sentire”. Comunque io resto perplessa, perché è evidente dalla sua sorpresa che una simile prospettiva non l’abbia mai incontrata, nemmeno lui che di autismo ne sa davvero tanto. E’ come se l’idea che in sé e per sé si possa trovare piacevole e appagante la costanza nelle cose, la simmetria, l’indagare in modo approfondito lo stesso argomento, rivedere sempre lo stesso panorama… sia astrusa, insolita. Sono cose che non meritano interesse?
Proviamo a rovesciare la domanda. Cos’è che i neurotipici trovano fottutamente bello nella novità? Perché se la vanno a cercare? Ve lo siete mai chiesto seriamente, in modo approfondito? Io scommetto di no. La propensione alla ricerca di novità pare innata nei neurotipici come negli autistici lo è quella alla ricerca di costanza, eppure nessuno la patologizza tanto.
E’ un po’ come se agli eterosessuali si chiedesse: ma invece di continuare a chiedere perché si è gay, e come è essere gay etc… ti sei mai chiesto perché tu sei etero? Pensaci, poi fammi sape’ eh.
(Personalmente credo che siano due istanze entrambe evolutivamente utili, la ricerca di novità e quella di costanza. La prima favorisce l’apprendimento di abilità nuove e quindi in ultima istanza può essere un vantaggio per la sopravvivenza dell’individuo e della specie, la seconda favorisce la permanenza in cose sperimentate e sicure e… in ultima istanza può essere un vantaggio per la sopravvivenza dell’individuo e della specie. Diverse istanze, ma non una meno dell’altra, in teoria. L’evoluzione non conserva tratti inutili.)
Poco dopo scambio due parole con l’unico altro genitore presente, dicendo “faccio un po’ fatica oggi ad ascoltare, mettono tutto in chiave così patologizzante, ogni cosa diventa un tratto problematico, anche cose che per me non lo sono”. Lei, una madre come me, mi dice che ha avuto la stessa sensazione, che anche per lei l’autismo è anche altro.
Ecco, è una sensazione di spaesamento, di non riconoscersi nella descrizione che fanno, in fondo, anche di me e dei miei figli, visto che siamo autistici anche noi. E non si tratta semplicemente del fatto che loro, docenti e terapisti in genere, sono abituati ad avere a che fare con forme di autismo più problematiche della nostra. E’ che vedono solo un pezzo, o che tendono a dare interpretazioni neurotipico-centrate dei fenomeni. Noi che l’autismo lo viviamo quotidianamente e da dentro, non come pazienti che vedi passare ogni giorno in ambulatorio, sì, ma per un’ora o due al massimo ogni tanto, sappiamo che l’autismo in ogni caso è vita con tante sfaccettature, e come vita quotidiana c’è dentro tutto l’umano possibile. Non solo il problema, ma anche l’allegria, il piacere. Il fare le cose perché ti piacciono, non perché devi sfuggire a qualcosa di negativo. Gli autistici godono delle cose, come i neurotipici. Di cose diverse, magari, ma il piacere, il fare le cose per piacere, esistono anche per noi. Sennò ci saremmo autoestinti da un pezzo, credetemi. Non dovete mai, MAI dimenticarlo se lavorate con persone autistiche. Altrimenti continuerete a percepirci solo o soprattutto come agglomerati di deficit e condotte patologiche, non come persone intere, con una vita degna di essere vissuta (a modo suo, che non è il vostro magari), e trasmetterete questo, anche, alle famiglie ed alle persone stesse, e no, non è utile, anzi. Vi mancherà un pezzo enorme del quadro. Oltre che uno strumento prezioso per interagire.
Ma sul serio, continuo a chiedermelo, è così difficile da concepire?