Siccome a volte con gli articoli succede che uno tira l’altro come le ciliegie, ecco qui il mio tentativo di spiegare cos’è una derealizzazione.
Avete presente quelle scene di film in cui il protagonista ha appena subito un trauma o comunque sta male, magari è stato coinvolto in un’esplosione, magari gli hanno comunicato un lutto… e la camera passa in soggettiva, ma la visione viene distorta, sfuocata, rallentata, i suoni sono ovattati o rimbombanti, insomma si capisce che quella persona è “nel pallone” e distaccata dalla realtà? Ecco, quello secondo me è un tentativo di rendere cinematograficamente il fenomeno della derealizzazione.
La derealizzazione è una situazione in cui la persona vede e percepisce la realtà attorno a sé come non reale, o meno reale. Vede le cose ma non capisce cosa sono. Sente suoni e voci, ma non ne comprende il significato. Il tempo scorre in modo diverso, si blocca a volte. Di conseguenza, avrà un modo di agire che appare disorganizzato e inconcludente. Questa derealizzazione può accompagnarsi anche alla depersonalizzazione, e se pensate che perdere il contatto con la realtà attorno a voi sia vagamente spaventoso, immaginate cosa significhi sentire che si perde il contatto con sé stessi, con il proprio corpo, la propria esistenza. Thanos scansate.
Agli autistici capita con frequenza, di solito la causa non è un trauma unico ma un sovraccarico sensoriale e cognitivo, ed è causa di grossi problemi sociali e relazionali. L’Asperboy ad esempio ha delle derealizzazioni da sovraccarico che lo inducono a scappare per sottrarsi alla situazione, e questo spiega le sue fughe da una classe troppo rumorosa e caotica.
Mi sono chiesta come fosse possibile spiegarlo in modo semplice, e la risposta che mi sono data è questa: la percezione in realtà è una cosa più complessa del vedere o sentire o altro, è un processo in cui non solo noi incameriamo dei dati sensoriali dall’esterno (vista, udito, tatto, propriocezione, olfatto…), ma gli attribuiamo un senso, un significato. Vediamo un insieme di forme e colori e riconosciamo che è una porta. Sentiamo un profumo e pensiamo “polpette!”. Sentiamo una serie di suoni e ne decodifichiamo il significato come parole. La percezione insomma è un atto con cui diamo un senso ai dati sensoriali.
In un certo senso, possiamo pensare al nostro sistema percettivo come un centralinista di quelli di un tempo, che davanti a un tabellone pieno di prese collegava tra loro le prese giuste. In questo caso mette in collegamento appunto le sensazioni con i significati. Ma cosa accade se questo centralinista viene sottoposto a una valanga di chiamate, più di quante ne può gestire? E’ un sovraccarico. Succederà che a un certo punto inizierà a non collegare più tutto quello che andrebbe collegato. Smetterà di occuparsi di tutti i collegamenti tra percezione di stimoli esterni e significato, e allora inizierà una derealizzazione. La derealizzazione è uno stato di sensorialità priva di significati. Se la situazione peggiora, il centralinista alzerà le mani esausto e potrebbe smettere di collegare anche sensazioni interne e significati, e allora il nostro stesso corpo ci diventerebbe temporaneamente estraneo, privo di significato e quindi di “esistenza”. Noi stessi saremmo estranei, irreali. La depersonalizzazione a volte può spiegare certi atti di apparente autolesionismo degli autistici, perché il dolore è un tentativo di sentire di nuovo il proprio corpo come reale, di dare uno sveglione al centralinista interiore.
Per inciso, mentre le derealizzazioni non sono così spaventose, e alcuni autistici le trovano persino gradevoli, come un momento in cui il tempo e la realtà scorrono diversamente e sono un po’ “lontani”, le depersonalizzazioni a quanto pare non piacciono a nessuno. Io ne ho avute poche ma le ricordo tutte, e non con affetto.
Esistono vari filmati online che cercano di descrivere come un autistico può vivere una situazione di sovraccarico. Questo lo trovo particolarmente ben fatto, e soprattutto notate una cosa: il bambino a un certo punto conta come strategia per calmarsi, cerca di “restare lì” con la testa, di tenere il suo centralinista interiore connesso. Gli autistici cercano sempre di evitare di star male, mica si divertono (a parte rari casi) a ritrovarsi nel pallone. Ma alla fine non ce la fa, troppi stimoli sensoriali tutti insieme, troppi stimoli cognitivi (non solo le cose che avvengono, ma anche i volti delle persone che lo guardano, il cercare di decifrare le loro espressioni, capire cosa vogliono), sovraccarico emotivo (il cercare di farcela, la paura di quello che sta accadendo, il sentirsi vagamente “guardato male”)… è troppo, per chiunque.
Lasciate riposare il suo centralinista.
Non la trovo una reazione piacevole, hai ragione, ma è pur sempre meglio della sincope. Qualche anno fa, in un periodo lavorativo particolarmente stressante, mi venne diagnosticata una sindrome di sincope da stress. Ovviamente a nessuno venne il dubbio che potesse trattarsi di altro. Quando arrivavo al limite massimo, mi accasciavo, perdendo i sensi. MI accadeva al cinema, in autobus… in ufficio. non lo augurerei a nessuno. Ho cambiato contesto lavorativo, cercando rifugio fra i boschi di una valle sperduta. E’ stata una gran fortuna che il mio lavoro permettesse di scegliere questo tipo di contesti. Penso a chi non ha scelta… o meglio, non oso pensare a cosa deve subire chi non ha scelta. Di conseguenza ho imparato a evitare situazioni che possono far scaturire questo tipo di reazione, ho imparato a riconoscerne i sintomi premonitori ben prima di varcare la soglia di non ritorno, e quindi a regolarmi di conseguenza e oggi posso dire di avere in parte risolto; non mi accade più da anni. Certo sono anni che non vado più in un cinema, se non è vuoto, in un teatro, a una fiera se è affollata, che non prendo i mezzi pubblici… e se devo andarci per cause di forza maggiore mi tengo sempre ben vicina all’uscita, o comunque in posizione strategica. E sto facendo di tutto per rimanere in contesti lavorativi all’aria aperta, con pochi stimoli complessi da gestire. La depersonalizzazione mi capita, perché il contesto umano in cui lavoro non è comunque facile, ma pazienza…voglio dire, fra i due mali, nonostante tutto preferisco la depersonalizzazione e le cefalee, alla sincope 😀 😀
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Ciao 🙂 Bell’articolo. Io ho sofferto di depersonalizzazione e derealizzazione per circa 6 anni, adesso va ,molto meglio! Sono quasi guarito,la derealizzazione e’ scomparsa, pero’ sento un po’ di pensieri confusi a volte. E’ un inferno, non ci sono parole per descrivere un angoscia e sofferenza del genere, ho conosciuto altre persone con questi problemi, quello che io ho notato che la depersonalizzazione cambia leggermente da persona a persona, c’e’ sempre il distaccamento del proprio “io” ma cambia qualcosa nelle sfaccettature della malattia. Spero di essermi spiegato bene :O
A me quello che ha alleviato le mie sofferenze e’ sapere che alcune persone accettavano la mie difficolta’ e problemi, quelli che mi dicevano “sei normale” o “tu non sei malato” mi facevano sentire molto peggio, perche’ rifiutavano qualcosa che io sapevo di avere, che io vivevo, che io sentivo. Quello che dico, a chi passera’ di qua,e leggera questo bell’articolo prima 😀 e il mio commento poi, e’ quello di non pensare che la vita sia finita, se ne esce, soffrendo, tanto, ma se ne esce, l’importante e’ andare nei medici, fare della psicoterapia e se necessario anche i psicofarmaci (io li prendo ancora!) e fare quelle cose che fanno stare un po’ meglio. A me una cosa che aiuta adesso e’ darmi da fare, pormi degli obiettivi e pedalare, questo mi distrae tantissimo. Pero’ bisogna capire in bassa alla persona quello che e’ capace di fare, io 3 anni fa non riuscivo a fare poco, adesso di piu’.
Scusate per il mio commento scritto un po’ male ma a parte la mia natura sgrammaticata ho un computer che non mi aiuta 😀
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