
Mi ero ripromessa di dedicare la mia domenica allo studio e al relax, non necessariamente in quest’ordine, e anche di non infognarmi più in discussioni sull’ABA, poi un’amica mi ha taggato proprio in una di queste e che fai, non tiri fuori l’ascia vichinga? E quindi.
La discussione è stata l’occasione per sintetizzare una volta di più alcuni concetti a proposito di ABA, comportamentismo e dintorni. E sono i seguenti:
- L’ABA non è che va bene per tutti e per tutto, dall’autismo all’unghia incarnita. Anche per l’autismo, non va bene per tutti gli autistici. Perché le prove di efficacia tanto sbandierate dimostrano che ABA è efficace per migliorare le performance cognitive, il linguaggio e l’adattamento delle persone autistiche.
Ma se voi avete un autistico che non ha problemi di cognitivo, anzi magari ce l’ha sopra la norma, e non ha disturbi del linguaggio anzi ha un linguaggio superiore all’atteso per la sua età, e ha buone capacità di adattamento (e ce ne sono)… esattamente che ve ne fate di ABA? Infatti i miei figli ABA non l’hanno visto manco da lontano, per loro molto meglio un approccio cognitivo comportamentale e l’educazione cognitivo-affettiva. EDIT: anche perché il problema degli autistici come i miei figli non è tanto che non si adattano, è che si adattano troppo e alla fine vanno in burnout o in depressione con contorno di ansia, perché si sono sforzati per troppo tempo a modalità che non sono adatte per loro in realtà, sono modalità neurotipiche. Quindi ABA che punta a farli adattare ancora di più è proprio deleterio. Devono imparare ad ascoltarsi e gestirsi, non semplicemente ad adattarsi alle richieste dell’ambiente. - ABA nasce come osservazione del comportamento e sua modifica. E uno dei principi base di ABA duro e puro è che si osserva il comportamento, ma non si fanno ipotesi su quello che avviene all’interno della testa di chi lo “emette” (sic). Ma questo anche perché si riferisce soprattutto a situazioni in cui il soggetto dell’intervento non è in grado di comunicare perché si comporta così. O sono bambini piccoli, o sono persone con disabilità cognitiva, oppure sono animali (sì, i primi studi erano su animali e lo sappiamo benissimo). Allora è inutile chiedere perché quel soggetto fa qualcosa, non è in grado di dirtelo. Se hai un ragazzo disabile grave non verbale con comportamenti violenti in classe, per dire, non puoi chiedergli perché lo fa, o dirgli di non farlo, devi osservare le circostanze e agire su quelle. Nella sua accezione più evoluta poi, quando si tratta di soggetti invece capaci di intendere volere e comunicare come ad esempio gli adolescenti di oggi a scuola, la richiesta del comportamentismo di osservare i comportamenti senza fare ipotesi sulle loro motivazioni è più un invito a non sovrapporre le nostre interpretazioni e pregiudizi, una richiesta di sospendere il giudizio, per lavorare meglio. Perché si sa che se un ragazzino fa qualcosa di scorretto in classe la prima idea di molti insegnanti e genitori è “lo ha fatto apposta”. Mentre invece il motivo può essere benissimo altro. E, qui è il punto, glie lo potete chiedere. Quindi ok osservare cosa fa o non fa il ragazzo, e cosa è successo prima e cosa succede dopo, cosa scatena quel comportamento, per modificare la situazione e quindi il comportamento, ma poi se siete dei pedagoghi degni di ‘sto nome, a bocce ferme gli potete anzi gli dovete chiedere perché lo faceva, per capirlo meglio, e farcelo riflettere. E farne occasione di crescita per entrambi. Sennò che ci state a fare?
- Il motivo 2 secondo me spiega una buona parte dell’opposizione che l’ABA incontra a scuola, da parte dei docenti. Perché a un docente tu non puoi andare a dire che non deve assolutamente occuparsi di cosa c’è nella testa del suo allievo, il docente è esattamente di quello che si occupa nella vita, è il suo lavoro. Quindi, attenzione a proporre una versione del comportamentismo declinata in senso estremo e che è totalmente incompatibile con la pedagogia moderna.
- ABA non è manco l’unico approccio ad applicare i principi del comportamentismo, il Teacch utilizza gli stessi identici principi, ma inseriti in una diversa cornice di riferimento e “atteggiamento” nei confronti dell’autismo e della disabilità in generale, e lavora anche questo in una prospettiva evidence based. O l’Early Start Denver Model, per i bambini più piccoli, che lavora in ambiente naturalistico. Guardatevi intorno che non c’è solo ABA come comportamentismo efficace.
- Come ho già scritto altrove, l’ABA moderno in realtà ha preso spunti e contenuti da altri approcci assolutamente non comportamentali, come ad esempio (ma non solo) i principi evolutivi vygotskjiani di zona di sviluppo prossimale, punto di forza, ambiente naturalistico etc. per rimediare all’eccessiva rigidità e limitatezza dei risultati, tipo la difficoltà di generalizzazione di quanto appreso. Ma non lo dice, perché per un approccio che si gloria di essere il meglio figo del bigoncio superiore a tutti gli altri, capisco che ruga un po’ ammettere di aver avuto dei difetti oppure ‘nziamai! di aver dovuto imparare qualcosa da altri. Però è così, mettiamocela via. Quindi prima di proclamare che tutto è ABA o deriva da ABA, come fanno certi profeti nel ramo, proviamo a chiederci anche cosa dell’ABA deriva da altro (e vi dò due indizi: ICEN e Pivotal Response Training).