Socializzare, stanca

Lavorare, scriveva Pavese, stanca. Anche socializzare, direi. E non è solo una questione di sovraccarico sensoriale o di cercare di capire cosa pensa e vuole l’altra persona. Per me, e credo per molti altri, è una questione che il rapporto umano è destabilizzante. E non c’è niente che io cerchi quanto la stabilità.

La stabilità, la costanza, la ricerca di routine, di equilibrio, sono delle costanti dell’autismo. Siamo, in generale, persone che hanno difficoltà a gestire i cambiamenti, le oscillazioni, le interruzioni. E questo vale anche per le emozioni che proviamo, per il nostro stato interiore, non solo per gli eventi esterni. Perché non è vero, nella stragrande maggioranza dei casi, che non proviamo emozioni e sentimenti. Possiamo avere più difficoltà a riconoscerli, a dar loro un nome, e a gestirli. Ma ci sono, e condizionano la nostra vita come e forse più che per altre persone.

Da questo punto di vista, le relazioni umane sono sempre un rischio. Intendiamoci, le relazioni umane sono fonte di moltissime cose positive. Personalmente, sono convinta che l’essere umano abbia bisogno per definizione, bisogno degli altri, e questo è quello che mette in moto la Storia, in un certo senso: il fatto che nessuno ce la fa da solo, mai. E quindi avere bisogno non è una cosa negativa e lamentevole, è il motore delle relazioni e in ultima analisi della vita come la conosciamo e la viviamo.

Bene. Però le relazioni sono imprevedibili come gli esseri umani. E già questo per una persona autistica è fonte di stress: non sapere cosa sarà, non poterlo prevedere, sia perché ha meno strumenti per capire l’altro, sia perché l’altro comunque non è una scienza esatta. Poi, il tipo di emozioni che possono darci le interazioni con altri esseri umani può essere positivo o negativo, ma potenzialmente intenso. Ed è anche l’intensità dell’emozione a destabilizzare, prima ancora del “segno” più o meno. Le cose, gli oggetti, gli argomenti di studio, gli interessi elettivi che una persona autistica ha, difficilmente sono imprevedibili e destabilizzanti. Le persone sono tutto un altro par di maniche. Le persone sono enigmatiche, imprevedibili, e per questo in un certo senso pericolose.

Il fatto è che molte persone autistiche spendono molta energia per cercare di mantenere un funzionamento equilibrato, uno stato d’animo “stabile”, senza oscillazioni violente (che si traducono in “stare male”). Grande parte delle routine delle persone autistiche ha esattamente questo scopo. E appunto, il fattore umano insito nelle relazioni sociali è imprevedibile. Tu stai lì tranquilla a portare avanti le tue routine e incocci in quello che je girano le scatole per cavoli suoi ma deve scaricarsi i nervi trattando di merda te. Oppure una persona cara che ti chiama perché ha un problema serio e bisogno di condividerlo. O il colloquio per motivi di lavoro, che diventa un banco di prova della tua capacità di entrare in comunicazione con un altro, e spesso si risolve in modo disastroso. Un incontro casuale che si trasforma in una lunga conversazione in cui scopri lati intolleranti dell’altro che non ti piacciono. Il figlio adolescente con la giornata no. Si dirà che sono cosa che capitano a chiunque, e non sono una tragedia, sono la normalità. E’ vero, capitano a chiunque, ma di solito, almeno per quello che vedo, c’è una maggiore stabilità e capacità di “portare avanti” la propria giornata o vita nonostante queste ondate emotive. Io invece faccio una gran fatica, più di quello che riesco a reggere. La mia barchetta emotiva è sballottata e finisce sulle secche, mi incaglio, non funziono più bene. Ho bisogno di solitudine per riuscire a stabilizzarmi di nuovo, e molto spesso non ho possibilità di stare da sola, non abbastanza. Sogno di trovare il modo di riacquistare miracolosamente equilibrio ed energie sufficienti, insomma la mia “inner peace” in poco tempo (e devo constatare che non esiste, purtroppo). Alla fine mi porto dietro una “fatica sociale” cronica che non riesco mai a ridurre. Quello che succede, è che a un certo punto riduco le mie frequentazioni sociali per il semplice fatto che non posso permettermi di correre il rischio (a volte la certezza) di essere quotidianamente destabilizzata e poi dovermi “rimettere insieme”. Nel bilancio energetico che devo fare per non esaurire le mie energie esiste anche questa voce, devo selezionare le frequentazioni sociali non perché abbia qualcosa contro la socializzazione in sé, non perché abbia qualcosa contro le persone in sé, ma perché sono cose faticose. Magari pure belle, ma tanto faticose.

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