L’arte di travisare

Oggi una mia amica ha portato alla mia attenzione un “interessante” articolo sull’autismo, questo. Il titolo, tradotto letteralmente, suona: l’autismo è così sovra-diagnosticato che il termine sta diventando privo di significato.

L’articolo fin dal titolo presenta quindi una tesi piuttosto provocatoria: le differenze tra persone diagnosticate nello spettro e persone non diagnosticate nello spettro stanno diminuendo, uno studio scientifico ci avverte che se si continua così potrebbero sparire nel 2029, e insomma che le diagnosi di autismo starebbero diventando “meaningless”, appunto, prive di significato. BOOOOOM.

Quando avete ripreso fiato, ne parliamo.

Ora, questo studio di cui si parla qualcuno se l’è andato a leggere? Io sì. E sorpresa sorpresa*, non dice affatto cose del genere.
*no, non è vero, non è una sorpresa, non succede mai che un titolo acchiappagonzi e un articolo pseudoscientifico riportino veramente quello che dice lo studio citato, ma vabbe’.

L’articolo che ho linkato è su una rivista sudafricana che non conosco, che a sua volta cita un articolo del Daily Telegraph, che però è a pagamento. Il testo dello studio invece non è a pagamento, e lo trovate qui: https://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/fullarticle/2747847

Riassumendo: viene pubblicato uno studio, anzi una metanalisi, che ci dice che rispetto al passato è cambiato l’approccio alla questione autismo, e la popolazione denominata “autistici” è cambiata da una piuttosto ristretta e individuata a una più allargata e inclusiva. E che questo, detta molto alla buona, siccome fa diminuire le correlazioni rilevate tra costrutti che costituiscono i tratti autistici e quindi l’oggetto di studio e di intervento, potrebbe diminuire la capacità di costruire modelli per cercare di spiegare le cause dell’autismo. Stop.

Dice che la diagnosi di autismo sta diventando “priva di significato”? NO
Dice che nel 2029 non si riuscirà a distinguere tra autistici e non autistici? NO

E allora chi l’ha detto? L’ha detto uno di quelli che ha firmato lo studio, il dr. Mottron, canadese, nel corso di interviste. Cioè: lo studio non lo dice, non si occupa manco della questione, e Mottron in un’intervista ha detto le famose frasi di cui sopra: di sto passo entro il 2029 etc etc. E’ la posizione personale di Mottron, espressa anche qui, perfettamente legittima quando definiamo che è la sua idea, e non è proprio evidente dallo studio, che questo tipo di proiezioni non le fa, perché si occupa di altro. E cioè dell’utilità o meno dell’avere una popolazione molto eterogenea di autistici come soggetto di studio. Perché appunto, questo fa aumentare la difficoltà di trovare correlazioni di tratti e costrutti, che sono un po’ la traccia di briciole di pane che, collegata ad altri studi di carattere genetico magari, dovrebbe permettere di capirci sempre di più e magari trovare anche il bandolo di qualche matassa. Siamo a un punto in cui la clinica e la ricerca perseguono due strade che sembrerebbero, potenzialmente, entrare in conflitto.

In altre parole: l’atteggiamento dei clinici, cioè quelli che diagnosticano l’autismo, si è modificato negli ultimi 50 anni, e comunque è perché è rivolto a cercare di aiutare le persone, in generale. E’ per questo che hanno modificato nel tempo non tanto i criteri diagnostici, quanto l’approccio alla diagnosi, e all’autismo come spettro.
L’atteggiamento dei ricercatori invece è di quelli che vogliono capicce qualcosa, nei meccanismi dell’autismo e delle sue cause, e da quando tutto è stato inglobato in un unico continuum con persone che hanno un funzionamento molto differente, a quanto pare, incontrano più difficoltà. Preferirebbero lavorare con una popolazione, o sottopopolazioni, più omogenee, definite, gli permetterebbe di trovare correlazioni, collegamenti più evidenti per costruirsi un quadro sempre più chiaro. E’ un po’ come se fino a ieri gli studiosi avessero da esaminare un boschetto di sole conifere, per esempio, per capire come funzionava quell’ecosistema, e oggi invece si ritrovassero in una foresta tropicale piena di alberi e piante di tutte le altezze, colori e specie diverse. A un certo punto qualcuno come Mottron sbotta: eh ma che cavolo, la piantate di metterci ancora alberi qui, che di questo passo noi non ci si capisce più niente!?
Un po’ c’è da capirlo eh.

P.s. Come ho scritto oggi in un altro post, sono davvero molto stanca. E’ stato faticoso anche scaricarsi l’articolo, le interviste etc. e leggerseli. So che probabilmente ci sarebbe altro da dire, ma io mi fermo qui. Spero che il post sia un contributo utile per capire meglio le motivazioni degli uni e degli altri, clinici e ricercatori, e anche per far capire che è *inopportuno* prendere quello che dice la scienza e brandirlo come una clava ideologica per i propri personali fini (oltretutto travisando e senza magari capirne una mazza di questioni scientifiche, ma vabbe’). Non è stato fatto per quello.

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