Sembrare o essere

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“Ma non sembri autistica”
“Grazie. Anche tu non sembri normale”.
La prima è una frase che mi capita di sentirmi rivolgere.
La seconda la risposta che mi tengo dentro ma prima o poi appiopperò al malcapitato per far capire l’assurdità e forse anche l’indelicatezza della prima. 
Che viene detta in perfetta buona fede, sia chiaro, ma può essere un po’ urticante per un autistico. Stiamo parlando di identità, mica di patologie (no, l’autismo non lo è). Avete mai provato a dire ad una persona di origini africane “Ma non sembri nero”?. O a un omosessuale “Ma non sembri gay”? Ecco. (consiglio: non provateci).
Per una persona autistica, non sembrare autistica poi è un concetto che presenta dei lati oscuri (come del resto anche per gli altri).
Non sembrare autistico sembra a volte la chiave per essere accettati dal mondo là fuori. Viene più o meno inconsapevolmente ritenuto da molti là fuori come qualcosa di desiderabile, come se un autistico fosse una specie di neurotipico fallato, e quindi il non sembrare autistico significasse che si sta in qualche modo ritornando verso la norma, verso il giusto il bello il buono della vita. La frase qui sopra sottende in fondo l’idea che essere non autistico sia meglio che esserlo, diciamocelo. Viene infatti viene detta di solito sorridendo, e viene intesa come gentile, quasi come un complimento. Cioè io dovrei considerare quasi un complimento sentirmi dire “non sembri quello che sei”.
Ah, grazie.
Peccato che a me piaccia quello che sono.
Il punto è lì: per quanto a molte persone possa sembrare strano, fidatevi ma a molti autistici *piace* proprio essere quel che sono. Ci piace il nostro cervello, potremmo parlarne per ore, è la parte del corpo che ci interessa di più, tanto in noi stessi quanto negli altri. La battuta “qual’è la prima cosa che guardi in un uomo? I congiuntivi” non è mai stata così vera come nel caso di un’Asperger  Ci piace la nostra capacità di concentrarci su un argomento e sviscerarlo, ci piace la nostra capacità di trovare collegamenti e vedere dettagli dove la maggior parte della gente non li vede. Ci piace guardare le luci cangianti per rilassarci, sono una cosa bella, ci piace cliccare all’infinito il pulsante di una Bic perché la sensazione propriocettiva dello scatto è piacevole. Ci troviamo interessanti. Ci piace essere quel che siamo esattamente come piace più o meno a tutti. Voi neurotipici avete mai pensato “oh mi piacerebbe non essere più neurotipico”? No ve’? Al massimo avete pensato “mi piacerebbe correre come Usain Bolt” o “vorrei essere alta almeno 1.70” o “Voglio la voce di Beyoncè”. Ecco, io voglio la voce di Beyoncè, e vorrei non avere tutti questi fastidi di ipersensibilità con la luce, ma non scambierei il mio cervello autistico per uno neurotipico. Soprattutto visto che oggi esistono gli occhiali da sole . Sulla voce be’, ci sto lavorando.
Il risvolto meno piacevole è che in fondo anche gli autistici subiscono prima o poi il fascino oscuro del “riuscire a non sembrare autistici”, a volte in modo del tutto inconsapevole perché nemmeno sanno di essere autistici ancora, e questo accade perché si rendono conto che questo non sembrare autistici gli apre tante porte. Porte che conducono a cose che anche loro desiderano, di cui hanno bisogno come tutti gli esseri umani, e a cui in fondo hanno diritto. Amicizia, accettazione, affetti, possibilità di lavoro, gratificazioni personali. Guardate che è un vero e proprio patto col demonio: puoi avere queste cose, forse, ma devi rinunciare alla tua anima in cambio. Cioè ad essere quel che sei, il tuo essere autistico, e mostrarlo senza timori.
Mettiamo che un autistico accetti più o meno consapevolmente questo patto, e si metta di buona lena a fare le cose che fa un neurotipico come le farebbe un neurotipico o comunque camuffando le sue difficoltà in questo, e ci riesca pure bene almeno inizialmente. Tutto ok? No, per nulla. Diciamo che vivere in questo modo richiede una spesa energetica molto alta per compensare tutte le difficoltà con strategie adatte o con sforzo di adattamento, e pone un carico sul sistema nervoso che prima o poi mostra la corda. Il fenomeno dell’esaurimento che ne deriva, o burnout autistico, è ben noto… tra gli autistici. La vita di molti autistici è costellata di inspiegabili “crolli” proprio quando tutto sembrava andare bene, anzi molto bene. E poi di nuovo, e di nuovo, ed ogni volta è più pesante ritirarsi su, e le prestazioni successive come “non sembri autistico” sono sempre meno brillanti. Quando questo avviene, oltretutto, l’ho sperimentato sulla mia pelle, è molto difficile che là fuori capiscano. E’ più facile che ti considerino improvvisamente una persona svogliata e pigra, o in qualche modo “debole”, oppure entri nel tunnel delle diagnosi sbagliate, “depressa”, “ansiosa”, “oppositiva”, “psicotica”… Il fatto che tu riesca per un certo tempo a tenere in piedi la finzione, perché in un certo senso lo è, anche se totalmente inconsapevole, diventa la tua trappola: siccome ci riesci, e non fai vedere quanta fatica fai, tutti continuano ad aspettarsi da te che ci riesca, e non sospettano che per te sia sempre più faticoso, pensano che sei pigra o malata. E finisce che ti senti anche tu così, perché se non sai cosa sei non capisci cosa ti stia succedendo, il perché fino ad un certo punto ce la facevi e adesso non ce la fai più. E ti senti pure in colpa.
C’è un ultimo aspetto, ed è che qualunque autistico in vita sua ha sicuramente fatto una certa fatica, maggiore di quella delle sue controparti non autistiche, per fare tante cose, incluso non sembrare autistico. Una fatica che voi non avete visto e di cui non avete idea, probabilmente. Sapere il perché di questa fatica, ed anche sapere di essere autistico, è un enorme cambiamento in meglio nella vita di molti autistici. Finalmente non sono più “sbagliati”, pigri, incapaci di fare le cose come gli altri sembrano fare facilmente. Sono semplicemente diversi, autistici, e capaci di fare le cose bene in modo diverso, o fare cose diverse. Possono cercare il loro modo di essere in modo più consapevole. Dire “non sembri autistico” è in qualche modo disconoscere sia la fatica prima che la motivazione, e la loro stessa identità. A me capita spessissimo che le persone dimentichino che io sono autistica. Che pensino che siccome “non sembro autistica” questo significa che io non sia poi tanto autistica, che non sia nulla di ché nella mia vita, che da parte mia dirlo sia una specie di vezzo, di posa, che in fondo non conta molto, visto che è evidente che tante cose le faccio proprio – apparentemente – come una persona neurotipica. Be’, a me non piace che le persone dismettano con tanta noncuranza tutta la mia fatica. Io faccio fatica a fare tante cose, se poi le so fare tanto bene è perché sono molto brava, ho grandi risorse, ma questo non mi esime dalla fatica. Pure un dio come Bolt alla fine dei suoi 100 metri è senza fiato, gente.
Ed il punto più importante di tutto il discorso forse è questo: una persona che non sembra autistica, non smette di esserlo per questo. Mai. Può non sembrarlo a voi, ma lo è comunque. La sua fatica che non conoscete ci sarà sempre, ed anche le sconfitte che non conoscete o se conoscete attribuite magari a pigrizia, difetti di carattere, svogliatezza, chissà che altro…
In conclusione, dietro la frase “ma non sembri autistica” ed il sottile disagio o senso di solitudine che sento quando mi viene rivolta c’è tutto questo. Non è poco, per una frase così breve ed apparentemente innocua.
(in foto: una mola Kuna. Così.)

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