Piccolo episodio esplicativo del perché le “etichette”, che da noi se chiamano “diagnosi”, servono, eccome, e sono sacrosante, e sono un nostro diritto.
Ieri sera ad un certo punto S. ha iniziato ad agitarsi. La cosa è escalata in modo rapido, apparentemente era infuriata perché voleva mangiare qualcosa che non avevamo in casa. Ha iniziato a urlare, muoversi in modo scoordinato, era anche visibilmente angosciata.
Fino a 3 settimane fa, avremmo finito la serata al pronto soccorso, garantito al limone, dopo aver tentato inutilmente di farla calmare parlandole e cercando di spiegarle che non era un comportamento accettabile.
Ieri sera invece abbiamo subito pensato “ma certo, non ha ancora cenato, ha la glicemia bassa”.
La glicemia bassa da sola è in grado di mandare un’Aspie in meltdown. Lo avevamo notato fin da quando S. era piccola, ma non riuscivamo a spiegare il perché, e poi non lo avevamo collegato al peggioramento degli ultimi tempi.
E’ bastata mezza tazza di latte zuccherato ed in 20 secondi, non esagero, 20 secondi netti, la crisi è rientrata completamente. Se non l’avessi visto forse non ci crederei, io mi stavo già preparando spiritualmente al disastro.
Ora, i sostenitori del “ma no, non bisogna etichettare” hanno una minima idea di cosa significhi, dopo anni passati a brancolare quasi nel buio, senza riuscire a spiegarsi certi comportamenti o capire perché questa ragazzina stesse sempre peggio, finalmente riuscire a spiegarsi in modo semplice il perché degli eventi, e persino poterli prevenire e risolvere rapidamente? E’ un sollievo *enorme*. Sollievo per noi, sollievo per lei.
Forse un giretto nella nostra vita se lo dovrebbero fare, prima di farla tanto facile. Poi un’etichetta la chiederebbero in ginocchio pure loro.