Mi piacerebbe raccontarvi come le mie figlie, 13 e 8 anni, vivono a scuola il fatto di essere disabili, non “speciali”, diverse, con delle capacità diverse e a volte minori, diciamocelo pure, a volte maggiori, rispetto ai loro compagni.
La grande manifesta grande insofferenza, fino al rifiuto, quando viene incoraggiata e lodata in modo sperticato per cose che per lei sono semplici. Non sopporta i complimenti, o perlomeno li vive con grande sospetto e spesso fastidio, perché è in grado di capire benissimo quando sono fondati e quando sono dati “perché è disabile” e quindi – lei pensa – non ci si aspetta tanto da lei. Questo crea anche problemi pratici a scuola, e non indifferenti, fino a non riuscire a lavorare con alcuni dei docenti.
La piccola più o meno uguale, si rende perfettamente conto di essere parecchio indietro negli apprendimenti, si arrabbia moltissimo quando qualcuno cerca di dirle che lei però ha tante belle qualità o è speciale o zuccherini del genere per consolarla. Una volta, durante una di queste crisi di rabbia, mi sono stufata anche io di fare evoluzioni concettuali per nascondere il segreto di Pulcinella e sono andata dritta al punto: “Teso’, è che tu sei nata con un cervello un po’ diverso e certe cose non le impari bene”. Si è fermata di botto, mi ha guardato un po’ stupita da questo improvviso momento di chiarezza materna e ha detto “ah… va bene”. E non era più arrabbiata.
E questa è stata l’allegra fine degli unicorni a casa nostra. Ci piace così.
Un pensiero riguardo “Bye bye, unicorns”