Gestione separata

Schermata 2018-12-11 alle 17.12.11

Quando è nata l’Aspiebaby, Asperboy aveva cinque anni e mezzo. E’ stato subito ben chiaro che erano due creature molto diverse. E’ stato subito chiarissimo anche che tutte le strategie messe a punto con Asperboy, con Aspiebaby potevo mettermele in saccoccia, non servivano a niente o quasi. Uno dormiva 8 ore filate a una settimana di vita. L’altra urlava fino alle 3 di notte e toccava fare i turni passeggiando in corridoio con lei in braccio. Uno si calmava semplicemente con un abbraccio. L’altra se provavi ad abbracciarla si divincolava come una belva. Uno mandava giù biberon senza discutere, l’altra solo tetta fino a 9 mesi. Uno detestava i pannolini ed era praticamente spannolinato a un anno, l’altra è arrivata all’età dell’asilo beatamente pannolata. E crescendo hanno continuato ad essere molto diversi. Tanto uno era una creatura silenziosa e schiva, tanto l’altra era rumorosa ed estroversa. Insomma, tutto da rifare. Uno si svegliava a malfatica e inverso dopo mille caute chiamate, l’altra sorgeva sorridente e da sola alle 6 di mattina. Anche la domenica. Uno mostrava fastidio per i rumori fin da piccolissimo, l’altra li produceva, i rumori, con allegra incoscienza. Uno rispondeva sempre NO di default, l’altra incredibilmente (incredibilmente per noi) ubbidiva alla prima. E sono tutti e due autistici, alla fine.

L’unica certezza che mi era rimasta dalla prima esperienza, era che se avevo trovato il modo di gestire uno, alla fine avrei trovato il modo anche per l’altra. Non doveva essere così impossibile. Bastava solo non darsi per vinta.

E così infatti è stato, ma la differenza di carattere, di profilo sensoriale tra i due, ha fatto sì che ci fossero più di un problema di convivenza e soprattutto più di un problema a gestirli assieme. Come mi ha ricordato un amico che ha due figli, uno adhd e uno asperger, tenerli assieme può essere come tenere la TNT accanto a un cerino. Più che un divide et impera, diventa un divide et sopravvivi. Lì ho capito perché per fare i figli dicono che bisogna essere in due, perché se non hai qualcuno con cui darti il cambio e dividerti la torta, tutto diventa più difficile. A volte facciamo persino gite o vacanze separati, mio marito ed io, ciascuno con un pargolo, perché sono molto più gestibili così, e si divertono di più. Hanno esigenze non compatibili per molti versi, per la differenza di età ma soprattutto di funzionamento.

Una caratteristica interessante dei magnifici due è la differenza di gestione in caso di crisi. Nessuno dei due può essere lasciato “a sfogarsi, tanto gli passa”, in caso di crisi. Anche solo perché la sofferenza emotiva che provano è veramente forte, e non si può chiedere ad un bambino di sopportarla senza aiuto per troppo tempo. Non è solo che costruirsi gli strumenti per gestire le emozioni è più complesso per loro. L’emotività autistica è molto forte, e la traccia che queste emozioni lasciano nella psiche anche, quindi alla lunga c’è veramente un danno psicologico che si stratifica. Bisogna intervenire.

Con Asperboy, bisogna mantenere la calma, non farsi travolgere dal suo pessimismo cosmico e dal vulcano in eruzione, e proporre nel modo più tranquillo possibile soluzioni. Con un lieve sorriso, magari, insomma faccia da poker. A lui fa bene vedere che la persona che gli sta vicino vuole aiutarlo ma allo stesso tempo è un appoggio sicuro, che non si fa travolgere, una “roccia” in mezzo alla tempesta. Allora riesce ad attraversare quella tempesta e approdare in porto senza troppi danni. Non me lo ha mai detto esplicitamente, ci sono dovuta arrivare attraverso prove ed errori. Al massimo, ogni taaaaanto, un preziosissimo “mamma meno male che ci sei tu” passata la buriana, che vale quanto una medaglia.

Con Aspiebaby, la storia è diversa. Non apprezza la compostezza buddhica di sua madre, la faccia da poker frutto di anni e anni di allenamento. Anzi, questo la getta ancora più nello sconforto. Per usare le sue precise parole gridate durante una crisi “mamma, quando io ho paura, se gli altri non hanno paura io peggioro!”. Tradotto: se vedo che gli altri non condividono in qualche modo la mia emozione, non la riconoscono come giustificata, questo mi fa sentire peggio. In altre parole, lei vuole empatia di quella buona. Mi ha ricordato una cosa letta molti anni fa, nell’autobiografia di Lalla Romano. Scriveva, la Romano, che da piccola provava dei terrori inspiegabili e fortissimi, e che gli adulti attorno a lei che non si spaventavano e le dicevano di stare tranquilla, che non c’era niente di cui aver paura, aumentavano solo il suo terrore, perché si sentiva circondata da persone che non capivano il pericolo che, lei era sicura, c’era. Così quando l’Aspiebaby ha cercato di spiegarmi cosa provava, ho ricollegato ed ho capito. Sia lei, che Lalla Romano. Non potevo dirle che quello che faceva piangere lei faceva piangere anche me, non sarebbe stato vero. Le ho detto però che vederla stare male mi faceva sentire impotente, e questo sì, mi faceva male. Che cercavo di restare calma perché con suo fratello questo funziona, ma che comunque non è che fossi proprio tranquilla e beata. E ho cercato di metterci un po’ di trasporto, in tutto questo discorso. Lei mi ha guardato un attimo e poi mi ha detto “Ok, adesso andiamo a fare quella ghirlanda che dicevi prima?”. Lei ha questi cambiamenti repentini, queste risoluzioni istantanee, se trovi il pulsante giusto.
E poi mi ha detto “Dobbiamo ricordarci di essere sempre sincere l’una con l’altra. La sincerità funziona”.
Ok tesoro, me lo segno. Con te, funziona così. Non era proprio intuitivo eh. Però meno male che almeno te me le spieghi, che con il tu’ fratello ho dovuto capire tutto da sola…

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