Quest’oggi bambini parleremo del masking, questo fenomeno per niente misterioso e incomprensibile ma che a quanto pare è così facile fraintendere là fuori. Con tutte le conseguenze del caso.
(prima di iniziare, un disclaimer: sono reduce da 6 giorni di dolori e antidolorifici di quelli pesi, quindi sono poco incline alla temperanza. Potrei essere ancora meno diplomatica del solito. Neurotipico avvisato, mezzo salvato)
Dunque, masking significa letteralmente mascheramento. E’ quel fenomeno per cui molti autistici, soprattutto bambini autistici ad alto funzionamento, hanno questa modalità di comportamento, in larga misura inconsapevole, per cui piuttosto preferiscono mori’ fulminati sul posto che far vedere che sono in difficoltà a causa del loro essere autistici. In ambiente che sentono non familiare, non favorevole, fanno in modo estremo quello che in fondo facciamo un po’ tutti: “si tengono”. E siccome stiamo parlando di bambini, dove si verifica soprattutto questo? A scuola, di solito alle elementari. A scuola il ragazzino autistico ad alto funzionamento, soprattutto il ragazzino con tratti PDA, farà di tutto per mascherare il fatto che sta male, che non riesce a tener dietro alle richieste dell’ambiente. Si terrà tutto dentro, e da fuori sembrerà persino calmo e sorridente, o perlomeno non troppo stressato, magari solo più silenzioso o imbarazzato. La pressione interiore ed anche esteriore perché non faccia trapelare il fatto che è diverso è molto forte. In realtà, in certi momenti è una pentola a pressione prossima ad esplodere. E da qualche parte esploderà, deve esplodere. E dove?
Avete già indovinato, scommetto.
A casa.
A casa, perché mentre là fuori l’ambiente è minaccioso, non sicuro, estraneo, a casa c’è un ambiente dove si sente accettato, amato, al sicuro, dove sente di poter lasciar andare la maschera senza essere rifiutato. E lo fa. Può lamentarsi, piangere, urlare, tirare oggetti, dire parolacce, insultare, ribaltare casa… Possono essere giornate pesanti.
Non è divertente, per te che stai lì quando la merda colpisce il ventilatore, anche se sai che quello che sta succedendo non ha niente a che fare con te. Diciamo che anzi, sapere che quel che sta succedendo non ha niente a che fare con te peggiora pure le cose, dopo un po’, perché come genitore ti chiedi perché cazzo debba toccare sempre a te, lo tsunami di merda, quando passi la vita a volteggiare sui cocci delle uova come Olga Korbut e cercare di rendere tutti felici, porcaccialamiseriaccialadra. Toccasse un po’ anche agli altri, ti dici, magari imparerebbero anche loro a fare attenzione. E a te arriverebbe meno merda a casa.
Metteteci anche che siccome da un punto di vista dello spazio-tempo il casino si scatena il pomeriggio a casa e non la mattina a scuola, dove si è accumulato in realtà lo stress, spesso da scuola hanno buon gioco a dire “ecco vedete? il problema è casa”. A volte lo fanno in buon fede, a volte no. Me la ricordo ancora la maestra che mi diceva con un sorrisino di sufficienza “Signora, forse è lei che le fa venire l’ansia a casa”. Perché a scuola l’allora Aspergirl alle prese con le sue pretese era praticamente un coniglio paralizzato davanti ai fari di un’automobile, non spiccicava verbo, ma quando andavo a prenderla a scuola vedevo già dalla faccia mentre scendeva i gradini della scuola che m’aspettava un pomeriggio sulle montagne russe, con lancio di quaderni, lacrime e possibile conclusione al pronto soccorso con un bell’attacco di panico.
E quando lo raccontavo, nessuno mi credeva, pensavano che ero solo una madre ansiosa ed esagerata. Perché insomma guardatela quella bimba lì, con il grembiulino e il sorriso tirato, vi sembra il tipo da scenate? Eccerto, quando guardi Bruce Banner con il suo sguardo da mite scienziato timido non pensi che potrebbe diventare verde, grande grosso e decisamente incazzato. Ma succede, in tutte le puntate. Mai fermarsi alle apparenze.
E in più venivo accusata di essere la causa del malessere di mio figlio. Quando in realtà se manifestava la crisi con me era per l’esatto opposto, era perché ero l’unica presenza che in quel momento gli offriva un po’ di sicurezza, un ambiente dove si sentiva al sicuro, accolto e compreso, e poteva lasciarsi andare e mostrare tutta la sua difficoltà accumulata altrove.
E questa me la so’ legata la dito, sappiatelo.
In sostanza, i punti che mi interessa evidenziare sono due:
– a volte, tra genitori e scuola, vi sembrerà di parlare di due bambini diversi. A scuola c’avete una piccola lady o piccolo lord o giù di lì, a casa vi dicono che partono scene da tregenda. A voi a scuola pare che i genitori esagerino. Ecco, magari no, non esagerano, è solo un bambino che a scuola pratica il masking livello pro. Fatevi venire un dubbio.
– spesso i genitori vengono colpevolizzati per questioni che non dipendono da loro, ma da quello che avviene in altri luoghi, cioè per il 90% dei casi a scuola. Questo fa perdere tempo, energie e non aiuta nessuno. Non aiuta i genitori, non aiuta i bambini, alla fine nemmeno gli insegnanti, perché i nodi prima o poi verranno al pettine. Mio figlio ci ha messo più di due anni per iniziare ad avere accenno di crisi anche a scuola, ma quando è successo non c’è stato più ritorno. Lì per forza anche la scuola ha dovuto capire che c’era un problema e che andava affrontato, insieme. Perché alla fine la vera mossa vincente è allearsi e collaborare. Se lo stress nasce a scuola non significa che la scuola sia necessariamente cattiva, sappiamo che la scuola è spesso difficile per i nostri figli neurodiversi, non è un atto d’accusa, è la constatazione di un fatto. C’è da mettersi lì con lucidità per capire cosa sta succedendo e cosa si può modificare per ridurre il carico su quel bambino e su quella famiglia. Non stiamo qui a lanciarci responsabilità per gioco, siamo qui a cercare di capire come adulti cosa succede e cosa fare.
E last but not least, se ci arrivasse meno immeritata merda in faccia a casa, non ci dispiacerebbe, ecco.
fa più danni l’ignoranza della cattiveria
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