La collezione di figure di merda

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Oggi l’Asperboy è tornato a casa piuttosto agitato perché ha fatto, secondo lui, una figura tremenda a scuola. Era veramente sconvolto, non riusciva ad uscire dal loop di agitazione.

Amo’, volevo dirgli, tu sapessi che collezione di figure di mmerda ha messo insieme negli anni tua madre, prima di capire un po’ come funzionano le cose in questo mondo, cosa non dire, non fare… e lo stesso ogni tanto mi distraggo e ci ricasco. Alla fine è per quello che sono una persona tranquilla e silenziosa, perché ho capito molto presto che meno mi muovevo e dicevo, meno mi cacciavo nei guai. Non sono timida o distante, in realtà, sono imbranata, consapevolmente imbranata, e quindi prudente..

Una buona parte delle figure di merda deriva dal non capire come funziona il non detto, il sottinteso, il dato-per-scontato, dei rapporti sociali. La maggior parte delle interazioni di gioco, sociali, si basa su regole non scritte, non esplicite, che nessuno ha mai spiegato ma si imparano sul campo. E così da autistico continui a rompere regole non scritte perché mentre i tuoi compagnetti neurotipici fin da piccini hanno imparato a cogliere al volo dagli esempi attorno a loro queste regole e farle proprie, tu un po’ perché hai meno connessioni dedicate al sociale, un po’ perché te ne stai spesso per conto tuo e ti interessano più altre cose, un po’ perché i concetti appresi in una situazione li generalizzi con difficoltà ad altre, mettici pure che non hai tutta l’elasticità per adattare le regole alle situazioni e capire  che esistono le eccezioni, alla fine non hai avuto lo stesso addestramento. E quindi quando ti relazioni con gli altri pesti merde ogni due passi.

Esempio pratico: il problema di Asperboy oggi è stato che parlando con una compagna ha usato la parola cancro in un commento che voleva essere scherzoso (stava tentando di fare il neurotipico che scherza, grosso errore…). E’ stato vivacemente ripreso, con ottime intenzioni ovvio, ma ci è rimasto male lo stesso. Cancro è una parola tabù, non si dice, meno che mai per scherzare, ancora meno riferita all’interlocutore. Ed anche se se ne parla seriamente, al massimo si dice “un brutto male”, o “un male punto bello”, ma le persone possinostianta’ se dicono proprio cancro. In America la chiamano “the C word”, la parola che inizia con la C, per sottolineare che è un tabù. Io ricordo che da ragazza in caso di lutti di fronte al vago accenno a un “brutto male” accompagnato da sguardo sfuggente e cambio di discorso insistevo a chiedere come una deficiente “Sì, ma esattamente perché è morto questo?”. E tutti mi guardavano inorriditi.
Insomma cancro è una parola nefasta, una parola che non va pronunciata. Tutti in società lo sanno quasi istintivamente. Tranne mio figlio, a cui ho dovuto spiegarlo esplicitamente, dopo averlo capito pure io a suo tempo. Gli ho spiegato  tutta la questione della superstizione, della scaramanzia, dell’esorcizzazione della paura e del dolore, concetti che devono essergli sembrati marziani ma vabbe’, alla fine ce l’ho fatta (credo). Ci avete mai fatto caso a come è difficile spiegare queste cose? Sono concetti complicati, se devi esplicitarli. Non sono cose fatte per essere spiegate, meno che mai messe in discussione, ma per essere imparate vivendole e usate senza pensarci tanto sopra.

La cosa si complica perché poi ci sono parole che sono considerate con leggerezza nella società, e invece sono urticanti per un autistico, per motivi di “mentalità autistica”, diciamo. Mio figlio per esempio non sopporta l’uso disinvolto della parola “frocio” da parte dei suoi compagni di classe. Non è solo una questione di sentirsi toccati personalmente, è che lui è in grado di capire che è un insulto, mentre cancro non è un insulto. Ma frocio in classe si può dire a un compagno, a quanto pare, scherzando, cancro no, se lo dici qualcuno ti dirà con sguardo inorridito “non si fa!”. Questo non ha alcuna logica (almeno per la mentalità autistica). Ve lo direbbe alzando il sopracciglio il signor Spock, questo meraviglioso esempio di Asperger ante litteram, mentre il suo amico dottor Bones, che invece è evidentemente neurotipico, tenta di spiegargli le regole sociali per cui invece è così. Senza riuscirci, di solito. Figuratevi come riesco a spiegarle io ai miei figli, che manco so’ neurotipica. A volte con i miei pargoli dopo aver tentato di spiegare quello che sono riuscita a capire della mentalità sociale mi ritrovo a concludere così: amo’, è così che funziona, non ti fare troppe domande… è una convenzione sociale non opzionale, insomma è così e basta.

Cioè come in questo brano di The Big Bang Theory dove è perfettamente illustrato lo scontro tra mentalità Aspie dura e pura, tradizioni sociali neurotipiche, con la risoluzione finale che “si fa così. E basta”.

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