Madre in carriera

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Qualche giorno fa mi sono resa conto di aver fatto carriera nella vita.
Per 12 anni sono stata una maTre demmerda. Una che non sapeva educare i figli, che non sapeva imporre un po’ di disciplina, che je metteva ansia, che li viziava, che cresceva futuri bambacioni o teppisti, che irragionevolmente continuava a credere che fossero dei bravi bambini nonostante le evidenze etc. etc.

Poi sbam, dopo 12 anni di gavetta come pessimo genitore si scopre nel giro di pochi mesi che sono tutti e due autistici, l’Asperboy e l’Aspiebaby.

Da quel momento, vengo automaticamente promossa nella categoria delle Madri Coraggio, ammirevoli creature circonfuse di luce e virtù, a cui si dedicano meme su Facebook, poesie che pure De Amicis si sentirebbe in imbarazzo,  discutibili servizi giornalistici tesi a commuovere le coscienze, più che smuoverle o informarle. Perché affronto con coraggio una prova difficilissima, di quelle che evidentemente le altre madri andrebbero (seeeeee) in massa a piangere in bagno: tirar su due figli ufficialmente autistici. Macomefainonlosocomefareialpostotuochebrava. Qualcosa del genere.

Ok, rispetto a prima, già meglio. I complimenti poi piacciono a tutti, mica starò qui a negarlo. Ma il fatto è, vedete, che io sono sempre la stessa.
Quello che facevo prima, quando ero maTre demmerda, lo continuo a fare anche adesso che sarei MaTre Coraggio. In modo un po’ più consapevole, meno disponibile a farmi mettere sul banco degli imputati (moooolto meno), ma sono sempre io. E i miei figli sono sempre loro, non sono improvvisamente diventati dei Gremlins o delle sanguisughe dopo la diagnosi. Non è diventato improvvisamente un tremendo fardello star loro dietro, è sempre lo stesso livello di consumo energetico e di spallamento genitoriale di quando erano ufficialmente due ragazzini piuttosto impegnativi e un po’ rompicoglioni, ed io una madre incapace. Anzi vi dirò che dopo la diagnosi, sapendo cosa fare e cosa evitare, forse è persino diventato meno complicato. Ma è come succede con tutti i figli, alla fin fine: devo trovare ancora qualcuna che mi dica “Ah che bello, quando voglio riposarmi esco con i figli”, per dire. Se vuoi riposarti non esci con la prole, esci con il toyboy, manco con il marito che poi il rischio è di ritrovarsi a parlare della prole. La prole, per definizione, è faticosa, neurotipica o neurodiversa che sia. Poi ognuna sa del suo, ma insomma se l’ho fatto per 12 anni, è chiaro che la nostra vita sia una cosa perlomeno fattibile. Affrontabile. Vivibile. Dignitosa. Persino, adesso mollo l’eresia, divertente. Umoristica a tratti. Interessante, molto spesso. Molto appagante, alla fine della fiera. Sennò non stavo qua.

Quello che è cambiato in realtà non siamo noi, è come siamo visti, in sostanza siamo stati spostati di categoria, anzi di stereotipo. Io, dallo stereotipo di maTre demmerda in cui mi sentivo francamente a disagio a quello di MaTre Coraggio, o MaTre Guerriera o giù di lì, in cui mi sento sempre un po’ a disagio. E ci sono stata spostata perché i miei figli sono finiti dentro lo stereotipo dell’autismo come incomprensibile misterioso spaventoso coacervo di deficit mancanze e incapacità, qualcosa di disumanizzante, un fardello e basta… quando sono in realtà due ragazzini con un modo diverso di vedere e sentire la realtà, ma anche con molto più in comune con i loro coetanei di quanto si pensi. Due intelligenti, affettuosi, talentuosi, puzzolenti scassamaroni (pre)adolescenti, come quelli con cui si scontrano e che adorano genitori di tutto il mondo. Il punto è che a noi non serve stare rinchiusi negli stereotipi.

Non è che io neghi di avere un po’ le contropalle ottagonali, intendiamoci. Ce le ho. Ma ce le ho intanto come una qualsiasi femmina della specie alle prese con le richieste della prole, le aspettative della società e l’aspirazione a mantenere spazi di vita personale più interessanti dell’accoppiamento e piegatura dei calzini. A pensarci bene, non è essere maTre di autistici il primo step difficile nella vita, è essere donna e magari pure maTre, oggi, in questo mondo. Poi il badge di MaTre Coraggio, in fondo, non me lo merito perché tiro su i miei figli autistici, perché il vero grosso intollerabile fardello non sono loro. Me lo merito perché da anni incontro sul mio cammino (anche) docenti impreparati ma molto sicuri di sé, medici non aggiornati nel loro campo, psicologi colpevolizzanti, sconosciuti spettegolanti e non solidali, gente che collettivamente rende il nostro cammino più difficile e ci obbliga ad utilizzare taaaanta pazienza, energia ed umorismo per andare avanti sani di mente.
Ecco, e qui mi rivolgo a quelli che non si informano, non si aggiornano, e manco si pongono il problema che nel dubbio di non sapere è meglio essere gentili con il prossimo che vedi in difficoltà, io in effetti ora che ci penso il titolo di MaTre Coraggio me lo merito perché ve sopporto tutti quanti siete, altro che autistici, e manco so’ vostra madre.

(nell’immagine sopra, il mio ritratto ufficiale da MaTre Coraggio circonfusa di grazia, luce, e pericolosa incazzatura)

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