Il bradipo in stop motion

coraline

Sono semiseduta per terra, appoggiata con il busto al divano letto, in camera di mia figlia. Ho lo sguardo rivolto a terra, come se ci fosse incollato, e non mi muovo. O meglio, in realtà se mi guardate con attenzione, mi sto muovendo. In modo lentissimo, millimetrico, quasi impercettibile. Se mi faceste una foto ogni 30 secondi e poi le proiettaste tutte di seguito, allora capireste che movimento sto facendo: sto allungando una mano per prendere un fazzoletto, e mi sto soffiando il naso. Solo che invece di 10 secondi, ci ho messo alcuni minuti per riuscire a completare il movimento. Lo spazio è diventato una dimensione infinita. Il tempo sembra sospeso. Sono un essere umano in stop motion, in questo momento. Sono il bradipo definitivo. Ma sono perfettamente consapevole di me e di quello che ho attorno, solo non riesco ad interagirci in nessun modo. Non posso parlare. Non posso guardare le persone, soprattutto. Sento intorno a me mio marito e mia figlia, che parlano. Non li guardo, non rispondo quando mi parlano. Mia figlia non sembra per niente preoccupata dal fatto che sua madre sembra uno scarafaggio schienato, sta dicendo allegramente a suo padre “E’ tutto ok, lasciala in pace, ha solo bisogno di stare tranquilla”. Ha 8 anni e ha capito meglio di tanti adulti. God bless my Aspiebaby.

Dentro di me stanno succedendo due cose strane. La prima è che il mio cervello, che di solito è pieno di immagini perché sono una pensatrice visiva, è nero come lo schermo di una TV spenta. Non ci sono immagini, non ci sono pensieri visivi. C’è solo qualcosa nel buio che mi dice di non farlo non farlo non farlo. E l’altra cosa strana è che io mi rendo conto che i miei muscoli funzionano tutti, che non ho perso la voce, potrei muovermi e parlare in teoria, funziona tutto… ma c’è questo qualcosa, questo comando interiore a cui non posso disobbedire, che mi dice di non farlo. Ancora no, non farlo. Non muoverti. Rimani al sicuro, rimani chiusa dentro. E “dentro” è dentro di me, con tutti i contatti con l’esterno ridotti al minimo o proprio a zero. Non guardo. Non parlo. Non mi muovo se non in modo impercettibile. Ma sono al sicuro. C’è questa sensazione che l’unico posto sicuro di tutta la realtà è dentro di me. Devo restare dentro. Non posso uscire. Non posso muovermi.

E’ uno shutdown autistico. E’ quel meccanismo di difesa della mente che, sottoposta a un sovraccarico eccessivo, sensoriale o emotivo, chiude i battenti per proteggersi. Può essere un’alternativa a un meltdown, oppure venire subito dopo. Nel mio caso, è venuto dopo un meltdown particolarmente forte in un periodo in cui sono particolarmente stanca. Adesso sono spossata oltre il limite del dicibile, e apparentemente disconnessa da tutto. Non sono contattabile, direbbe la mia dottoressa preferita. Posso solo aspettare che passi. Per fortuna sono a casa mia, al sicuro.

Lentamente, riesco a guardare i piedi di mia figlia che è seduta pazientemente sul divano. Guardo i suoi piedi, risalgo con fatica fino alle gambe. Le persone non hanno viso, non esistono dalla vita in su in questo momento, riesco solo a tollerare di guardare piedi e gambe, con fatica. Aspetto, non farlo non farlo non farlo, ancora no. Riesco a muovermi un po’ di più, pochissimo, ma non a parlare, allora lentamente appoggio la testa contro il fianco  dell’Aspiebaby per farle capire che ci sono, e provo a emettere qualche suono. Mi esce una specie di mugugno ma vabbe’. Sembro un grosso gatto disprassico che prende a testate la padroncina. Ci vogliono ancora lunghi minuti perché riesca a salire un po’ con lo sguardo, riesco a guardare il torso, poi il viso, ancora non gli occhi. E’ difficile da spiegare, ma gli occhi delle persone sono faticosissimi da guardare. Se potessi non li guarderei mai più. Se potessi resterei qui ferma per sempre, al sicuro.

Piano piano ne sono uscita, mi sono alzata, ho ricominciato a camminare, prima trascinando i piedi con la grazia di uno zombie, poi via via un po’ meglio. Alla fine ho guardato in faccia mia figlia, poco, poi anche mio marito, di sfuggita. Mi ricordo poco del dopo, ero stanca, tanto stanca. Siamo andati tutti a dormire, contenti che fosse passata. Ci sono voluti alcuni giorni perché recuperassi del tutto le forze e tornassi a funzionare come al solito.

Gli shutdown autistici non sono tutti così, soprattutto non hanno necessariamente tutti questa intensità. A volte sono una spossatezza infinita e improvvisa, una sonnolenza invincibile, di quelle che non riesci veramente a tenere gli occhi aperti, la testa che non riesce a processare nessuna informazione utile. Tutti nascono da momenti di stress, di sovraccarico. Persone diverse possono avere manifestazioni o pensieri o emozioni diverse associate, è ovvio. In generale però, non sono esperienze piacevoli, per chi le vive, e possono essere spiazzanti per chi assiste. Incomprensibili, anche. E’ come chiamare una persona al telefono, ma quella persona non risponde anche se è lì vicino all’apparecchio. Sente le cose, registra cosa sta accadendo, ma non risponde. Non lo fa apposta. Capisco che sia frustrante, e a volte anche allarmante. Ma non c’è niente da fare se non aspettare e lasciare tranquilla quella persona. Coprirla se fa freddo, magari. E avere pazienza. E’ come se a quel telefono una segreteria dicesse: l’utente chiamato al momento non è raggiungibile. Lasciate un messaggio, sarete richiamati appena possibile. Grazie.

 

 

 

 

 

2 pensieri riguardo “Il bradipo in stop motion

    1. E’ vero, Sacks racconta di aver anche fotografato un paziente con encefalite letargica e che le foto mostravano che stava compiendo un movimento, anche se guardandolo in “tempo reale” poteva sembrare fermo. Non so se le due cose abbiano dei punti in comune da un punto di vista neurofisiologico, sarebbe interessante cercare di capirlo.

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