La leggenda della cazzimma autistica

cazzimma

“Potrebbe fare molto di più, se si applicasse”
“La prima risposta è sempre un NO”
“Non lo vuole fare, non so perché”
“Nonostante glie lo chieda gentilmente, è sempre oppositivo”
“Non c’è verso di farlo lavorare”
“Non dà retta agli adulti”

Vi ricordano qualcosa, queste frasi? A me sì. Mi ricordano quanto è difficile capirsi e comunicare a volte tra mondo autistico e mondo là fuori. Quando è facile fraintendersi e non capire cosa stia avvenendo. In sostanza, quanto è facile spiegarsi certi comportamenti di una persona autistica nel modo sbagliato. Ad esempio, i comportamenti “oppositivi”. Gli autistici visti da fuori sembrano spesso oppositivi all’eccesso, come se vivessero preda della cazzimma, per dirla alla napoletana. E cos’è la cazzimma? La cazzimma è quello che si vede nella foto sopra. La cazzima, per spiegarla con le parole di Alessandro Siani è “Io lo so cos’è la cazzimma. Ma non te lo voglio dire. E questa è la cazzimma”. Ma sarà così davvero?

Una delle grandi difficoltà scolastiche è che spesso gli insegnanti si trovano davanti dei comportamenti che vengono definiti oppositivi. Il bambino dice di no, non vuole fare le cose proposte, si oppone, può anche scatenarsi una crisi. Esiste anche un disturbo del comportamento, il DOP, disturbo oppositivo provocatorio, che viene spesso diagnosticato ai ragazzini adhd e Asperger. A uno dei miei figli è stato diagnosticato, inizialmente. Vi dirò, a me questa diagnosi oggi distribuita con tanta generosità non suonava affatto convincente. E non perché sono la maTre visceralmente apologetica nei confronti della prole, ma per l’opposto: perché sono la maTre logica e razionale, e se definisci mio figlio oppositivo mi devi dimostrare in modo chiaro e inoppugnabile dove è intenzionalmente oppositivo (cioè avrebbe la possibilità di dire sì o no, e decide di dire no) e soprattutto dove è intenzionalmente provocatorio. Non basta che ti dica “no” a tutto, perché potrebbero essere cose che non può fare, non che non vuole fare, e non basta che tu adulto ti senta provocato, perché l’intenzione provocatoria potrebbe non esserci in realtà.

Cioè: l’opposizione per essere tale deve essere libera e intenzionale, non dipendere da altri motivi, e soprattutto deve esserlo la provocazione. Perché ci sono diversi motivi per i quali un ragazzino autistico  può opporre un rifiuto o avere determinati comportamenti irritanti, e “non vuole farlo” o “vuole provocare” sono, vi assicuro, in fondo alla lista come frequenza reale. Prima di questi, di motivi assai più plausibili ce ne sono altri, e vediamo quali:

  • perché non è in grado di farlo. Sul serio. Ora, io lo so che voi avete davanti un ragazzino che apparentemente dovrebbe essere in grado di fare quello che avete richiesto. Ha una discreta intelligenza, magari ha anche delle abilità particolari in certi campi, insomma è ovvio che se non fa una certa cosa è perché non vuole, no? No. Potrebbe essere che in realtà quel compito sia troppo complesso da svolgere per lui al momento. L’autismo è una disabilità invisibile mica per niente. Quel ragazzino intelligente e apparentemente competente, a cui non sembra mancare proprio nulla per eseguire un compito scolastico, potrebbe avere deficit delle funzioni esecutive che lo mettono in crisi se deve, per esempio, fare un riassunto. Perché estrarre le informazioni rilevanti da un quadro totale e poi ordinarle in una sequenza può essere troppo per lui, in questo momento. Però non vuole dire “non ci riesco”, forse nemmeno capisce bene perché quel compito non riesce, e vi dirà di no. Magari in modo brusco e senza spiegazioni, perché ce lo vedete un bambino a dirvi “le chiedo di mostrare comprensione, sono in imbarazzo per questo ma vede, io ho un deficit delle funzioni esecutive, in particolare di quella che viene comunemente definita come memoria di lavoro, non riesco a processare queste informazioni in modo efficiente”? Qui ci vuole probabilmente un’analisi della situazione da parte di uno specialista, per capire se ci sia e quale sia nel caso il deficit esattamente e con quali strategie lavorarci, ma intanto potreste provare a spezzettare e organizzare quel compito in step visualizzati, ad esempio, fornire un’organizzazione dei dati, provate a modificare come è presentato, utilizzare domande a scelta multipla etc. Le cose potrebbero cambiare.
  • perché è una novità a cui non è preparato. Lo so che sto parlando della scoperta dell’acqua tiepida, ma la necessità di costanza è un fattore che viene regolarmente sottovalutato nei ragazzini autistici. Qualunque novità o cambiamento deve essere introdotta in precedenza, se necessario con informazioni visive, e va spiegato di cosa si tratta, lo scopo e come si svolgerà il tutto, perché nessun autistico si infila volentieri nell’ignoto. Evitate le sorprese, 9 su 10 non finirà bene. Ed anche così, è possibile che non sia possibile alla prima, che ci voglia un po’ per abituarsi e prendere confidenza con l’idea di un nuovo tipo di attività. Qui in famiglia abbiamo un detto: il primo cesto va bruciato.
  • perché non sa che quel comportamento non  è socialmente accettato. Avete presente il fatto che essendo autistici non ci capiamo ‘na mazza degli usi e costumi della comunità sociale? Possiamo fare cose che per noi sono logiche e utili per motivi che l’altro non capisce, e che però scatenano reazioni negative nel prossimo invece, per motivi che noi a nostra volta non capiamo. Se io da ragazzina, seduta al primo banco, durante la lezione passavo il tempo a disegnare sul mio diario proprio in faccia al prof di turno, con tanto di intere confezioni di matite e pennarelli colorati sciorinate sul banco, per il professore magari sarà stato un gesto provocatorio. Ma io a provocare i professori non ci pensavo manco lontanamente, nutrivo per loro un grande rispetto, io disegnavo perché questo mi aiutava a controllare la noia, stare tranquilla in classe e sentire la lezione. Infatti, come notavano diversi professori, ogni tanto riemergevo dal mio diario e intervenivo pure in modo pertinente. I ragazzini Asperger spesso non sanno proprio che esistono regole su cosa si può fare e cosa non si può fare in certi ambienti, e cosa sono le gerarchie, e fanno cose considerate inopportune e che possono innervosire l’adulto di turno. Io, a scuola, da bambina, correggevo le maestre senza tanti complimenti. Ed ho continuato a farlo fino a tutto il liceo. Solo all’università ho cominciato a realizzare che i professori non gradivano affatto, ed era meglio che me ne stessi zitta. Ero provocatoria? No, semplicemente per me correggere un errore non è sbagliato, non importa chi abbia commesso l’errore.
  • perché gli è stata proposta in modo sbagliato per lui ed il suo stile percettivo e cognitivo. Quando si ha a che fare con un neurodiverso, va considerato attentamente che tipo di stile cognitivo ha, ed il materiale di studio deve essere conseguentemente organizzato per quello stile, in modo chiaro e ordinato. Anche qui l’aiuto di un esperto in didattica per la neurodiversità non ci starebbe affatto male, ad esempio a volte basta cambiare il modo in cui è impaginato un test, credetemi, per renderlo immediatamente più “leggibile” ed eseguibile da un ragazzino autistico. Oppure organizzare le mappe concettuali in modo meno “affollato”, con nessi logici piuttosto che temporali o sequenziali.
  • perché è stanco, in sovraccarico: mai sottovalutare il potere del sovraccarico sensoriale e cognitivo, soprattutto a scuola. Quello che per la maggior parte delle persone è un ambiente un po’ rumoroso ma sopportabile, per un autistico con ipersensorialità spiccata può diventare un’ordalia quotidiana in cui si chiede se ce la farà ad arrivare in fondo… Ci sono giornate migliori e giornate più difficili, e se è una giornata difficile potrebbe dire di no persino a cose che di solito ama fare.
  • perché ha una forte ansia di fronte alle richieste: questo è un comportamento un po’ misterioso e difficile da decifrare, ma esiste. In termini tecnici si chiama evitamento della richiesta, ed è mediato dall’ansia. In poche parole, un autistico ad alto funzionamento può provare forte ansia (anche in una forma non subito evidente, qualcosa di più simile al disagio o alla rabbia) per il semplice fatto che una cosa gli venga chiesta da qualcuno. Se la stessa cosa decide di farla lui, tutto bene. Ma appena gli viene richiesta da un’altra persona, scatta il bisogno pressante di eludere questa richiesta per mantenere il controllo. Esiste un quadro particolare di autismo, anche, che viene definito evitamento patologico della richiesta (PDA), in cui questo tratto assume dimensioni e pervasività tale da porre sfide notevoli alle famiglie, alla scuola e agli autistici stessi, perché richiede l’uso di strategie creative e continuamente aggiornate per essere gestito. In me riconosco solo una discreta tendenza a sentirmi infastidita dalle richieste, per il solo fatto che sono richieste altrui, persino se sono a mio vantaggio. Il minimo sindacale per un’autistica, direi, e più fastidioso che invalidante. Lo definisco “preferire l’andare all’inferno sulle proprie gambe che in paradiso portato da qualcun altro”. Devo fare uno sforzo, ma riesco a superare l’evitamento la maggior parte delle volte. I miei figli hanno questo tratto più pronunciato, e spesso non ce la fanno, con tutta la buona volontà. Ci vogliono strategie, appunto, per aiutarli.

Insomma, il funzionamento neurodiverso può essere veramente differente. Ma a conclusione di questa mia disamina, vi dirò che oltre a tutte queste motivazioni è anche possibile che sì, quel creaturo autistico quel giorno si sia alzato con una vera, autentica, leggendaria cazzimma autistica. Può succedere, siamo umani. Nel caso, solidarietà.

 

P.s. mio figlio non ha più diagnosi di oppositività. Una volta capito che era autistico e che molte cose non le faceva per motivi che con la cazzimma non c’azzeccavano proprio, abbiamo iniziato a trattarlo in modo più opportuno e a non obbligarlo più a fare cose che lo facevano stare male. L’oppositività è praticamente sparita. Non era oppositività, era difesa. Se voi obbligate un autistico a fare qualcosa che lo fa star male, gli scatena ansia per esempio, aspettatevi che si difenda con le unghie e coi denti. Direi che è proprio pura e semplice logica questa.

4 pensieri riguardo “La leggenda della cazzimma autistica

  1. A leggere quest’articolo, a momenti mi è venuto da piangere dal senso di riconoscimento. Non sono mai stata una bambina definibile “oppositiva”, ma c’erano (e ci sono) tante cose che ho sempre cercato di evitare o vissuto molto male. Tutti i punti dell’elenco si applicano fortemente alle mie esperienze. Io credo che l’ultimo punto sia strettamente collegato a quelli precedenti: siamo abituati a essere incompresi nelle nostre reazioni “strane” alle richieste, spesso dobbiamo fare quello che non vorremmo perché le nostre motivazioni non sono ritenute valide, e quindi alla lunga sviluppiamo un certo trauma verso il momento stesso della richiesta, perché lo associamo alla quasi certezza di un feedback negativo e/o un’esperienza sgradevole.
    Ti ringrazio per questo blog, mi sta aiutando a spiegarmi e spiegare molte delle mie esperienze quotidiane.

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