
Negli ultimi giorni m’è capitato di leggere argomentazioni di cosiddette radfem, cioè femministe radicali, contro il riconoscimento delle donne transgender come donne. Roba che poi devo chiedere scusa a tutti i miei neuroni e portarli fuori a cena per farmi perdonare, ma ok…
Una delle argomentazioni era più o meno: sveja donne, preoccupiamoci di noi, dei nostri problemi, non di quelli deg* altr*!
E io ho pensato: cosa pensi che stia facendo, sistah? Mi sto occupando di qualcosa che mi riguarda parecchio, proprio come donna cisgender. Perché forse a qualcuno sfugge ancora che un mondo con meno diritti e sicurezza per qualcuno, è un mondo meno sicuro per (quasi) tutti gli altri. E l’ho imparato sul campo.
Ho due figli autistici. Questo mi ha messo, nella società e soprattutto nella scuola, fino ad oggi, in una posizione privilegiata per capire meglio alcune dinamiche. Una delle dinamiche che mi è molto chiara, ormai, è che i miei figli sono una specie di cartina tornasole per capire se in quella scuola, in quella classe, le cose vanno bene o no. Se ci sono dinamiche tossiche, se c’è un adulto disfunzionale, per esempio, i miei figli sono i primi a zompare. E lo fanno in modo spettacolare, eh, fobie scolari, attacchi di panico, condotte oppositive, ansia di quella brutta etc.
Ma, e qui c’è il MA a cui volevo arrivare, non è che gli altri stiano benone, in quella classe. Lo dice molto bene il detto: se Atene piange, Sparta non ride. Cioè siamo tutti collegati, e se in una realtà qualcuno viene calpestato, ci sono fortissime probabilità che sia solo la punta dell’iceberg, e che tutti quelli che sono in quella realtà stiano male o perlomeno non molto bene, in gradi diversi, ma insomma anche loro nella stessa barca. Ed è una barca che rischia di andare pure più sotto. Nella classe che ci ha fatto vedere i sorci verdi con l’Asperboy, e di cui lui conserva un ricordo che praticamente è un PTSD, non era l’unico a star male, era solo quello più precoce ed evidente, e tra l’altro da lì sono usciti alcuni tra i più fulgidi esempi di bullismo degli anni successivi. Perché le dinamiche disfunzionali prodotte da adulti fuori controllo hanno fatto danni a tappeto, mica solo su mio figlio. Ma ognuno alla fine pensava ai cazzi suoi, nel gruppo genitori, e noi eravamo soli a smazzarcela.
Ora, le radfem a me ricordano tanto le madri del capannello fuori scuola, che sotto sotto lo sapevano che la situazione era quel che era, e più o meno vari bambini ci stavano male, non solo il mio. Ma alla fine della fiera pensavano “ma io mi occupo solo del* mi*, che per ora regge, chi me lo fa fare di preoccuparmi pure per i figli degli altri?”. Te lo dovrebbe far fare il tuo cervello, se tu ce l’avessi, pensavo, perché se i miei figli stanno male in un posto, significa che quel posto è tossico in qualche misura, e fossi in voi non ci lascerei serenamente manco i vostri.
Quindi, siccome io non sono davvero la classica madre del capannello, anzi, vi dico che per me è vitale che siano riconosciuti i diritti delle persone transgender, e in particolare delle donne transgender, perché loro sono una delle categorie più calpestate e sono come i miei figli: sono una delle cartine tornasole di come vanno le cose in una società per tutti, della direzione che hanno preso i diritti di tutti. Quindi anche dei miei che sono una donna cisgender. E sono stata ad Atene mentre a Sparta pensavano di essere al sicuro facendosi i cavoli propri, pover* scem*.