Il dito nel cervello 2, la vendetta

Nelle persone autistiche, il meccanismo di abituazione sensoriale non funziona in modo efficace. Ad esempio l’abituarsi a stimolazioni tattili diffuse. Le persone solitamente indossano un abito, sentono il contatto della stoffa lì per lì, poi se ne dimenticano, e il loro sistema nervoso esclude tutta quella parte di informazioni lì dall’elaborazione cosciente. A che serve essere costantemente consapevoli del fatto che avete addosso i vestiti che avete indossato stamattina? A niente, anzi vi distrae. Quindi molto saggiamente il vostro sistema nervoso mette quelle informazioni in entrata lì nel cestino del “non percepito”. Per le persone autistiche, si diceva, spesso non è così. La sensazione del contatto con il vestito resta in modo più o meno evidente, e questo porta a vari fenomeni: 1) si somma, senza che lo realizziate chiaramente, agli altri stimoli e contribuisce a creare un eventuale sovraccarico sensoriale 2) le persone autistiche di solito prediligono vestiti comodi, comodissimi, larghi, larghissimi, fatti con materiali leggeri e lisci, per cercare di ridurre al minimo la sensazione e quindi il fastidio 3) appena si arriva a casa, ci si leva tutto e ci si mette la cosa più comoda e ridotta possibile. E si cerca di uscire il meno possibile soprattutto per eventi “sociali” perché questo implica (anche) doversi mettere addosso dei vestiti meno comodi.

So che può sembrare esagerato dire che un paio di mutande sbagliate può rovinarti la giornata, ma è esattamente quello che succede a me. Ormai ho imparato che quando inizio a sentirmi male, con malditesta, senso di ottundimento, difficoltà nelle funzioni esecutive, umore rigirato… devo fare un rapido controllo di cosa ho addosso. Spesso il problema migliora o addirittura si risolve slacciando il reggiseno e cambiando mutande, perché sono quelle che mi stanno mandando in sovraccarico sensoriale con la loro sola presenza. Ho persino un set di mutande, che chiamo affettuosamente le mutande da meltdown, che sono in maglina morbida e tre taglie sopra la mia, insomma mi stanno larghissime. Le uso quando sto male e mi sento sull’orlo della crisi, o quando prevedo di avere una giornata particolarmente faticosa stressante: allora prendo un paio di tachipirine preventive, indosso le mie mutande ultra-comode e sopra qualcosa di mooolto comodo e pratico tipo kaftano, lenti filtranti e tappi per le orecchie, e affronto la giornata. Towanda!

Ora, il problema della non-abituazione si ripropone drammaticamente quando, come sta capitando a me, ti mettono uno splint di silicone dentro il naso. Ricordate i tamponi? Ecco, siamo di nuovo da quelle parti lì. Siccome non bastava un’operazione chirurgica, me n’è toccata un’altra, di correzione di aderenze, insomma per una complicanza dell’intervento di settoplastica e turbinati. Lo splint in questione è una lamina di silicone, che serve ad evitare che si creino aderenze tra setto nasale e parete laterale del naso dopo un’operazione, ed è un po’ come avere un dito su per il naso. Viene fissata al setto con uno o due punti, e resta lì in posizione per almeno una settimana. Solo che la persona normale dopo un po’ non è che smetta proprio di sentirlo, ma si abitua abbastanza da tollerarlo. Io, no. Io sto impazzendo da tre giorni con questa lamina di silicone messa su per il naso e fissata al setto con dei punti, perché continuo a sentire TUTTO come se me l’avessero messa due minuti fa. Sono imbottita di antidolorifici e comunque ho di nuovo un dito su per il cervello. Non riesco a pensare ad altro per la maggior parte del giorno, non riesco a funzionare bene, sto qui come una tigre in gabbia a pensare che me la devo tenere altri 7 giorni. Hell NO.

A monte di questo, l’intervento di per sé è stato un incubo a occhi aperti, letteralmente, perché il chirurgo all’atto della visita mi ha detto: lei mi sembra un tipo tranquillo, possiamo farlo in anestesia locale, senza addormentarla. E io, che sono una personcina educata, cerco sempre di venire incontro alle istanze altrui e soprattutto ho paura di passare per rompipalle visionaria se spiego la mia condizione ho messo in saccoccia i dubbi e ho pensato ma sì, ce la posso fare.

No, non ce la potevo fare. Perché come capita a volte, l’anestesia locale o me l’hanno fatta con il contagocce, o non ha funzionato come doveva, succede che gli anestetici sulle persone autistiche abbiano un metabolismo più rapido e quindi l’effetto finisca prima del previsto (sì, capita pure di svegliarsi durante l’intervento a volte, all’Asperboy è successo di svegliarsi durante e ancora intubato, e non è stato divertente), quindi quello che doveva essere un interventiello da poco è diventato un quasi meltdown sul tavolo operatorio. Quindi al diavolo l’educazione, al diavolo la paura di esser presa per visionaria, al diavolo tutto e la prossima volta, se mai ci sarà, voglio essere drogata fino alle orecchie e non sentire NIENTE.

Forse dovremmo cominciare a tenere in conto questo tipo di situazioni, quando si opera una persona autistica, perché il numero di cose che ci complicano la vita in questi casi è veramente notevole, dalle anestesie che a volte non funzionano al sovraccarico sensoriale durante il ricovero alla difficoltà a tollerare procedure medico-chirurgiche ritenute normali, ma che per noi diventano faticosissime in ragione del fattore sensoriale. Come dicevo nel mio post relativo all’operazione precedente, non pretendo che me lo rendiate facile, ma almeno rendetemelo possibile.

Una mia amica medico mi ha suggerito di dotarmi di un “tutore” esperto in autismo, magari con qualche qualifica professionale tipo una laurea in medicina o infermieristica, che possa fare da advocate per me se e quando dovesse ricapitarmi di essere ricoverata. In sostanza, qualcuno che con un po’ di autorità professionale e buona conoscenza dell’autismo vada lì dai sanitari a dirgli: gentili colleghi, guardate che questa è un’autistica ipersensoriale, quindi la dovete sedare bene, le dovete togliere il dolore pure meglio, e dovete evitare che vada in sovraccarico sensoriale. Altrimenti, non rispondo di quello che ve combina se je parte la brocca. Voi l’avete mai visto un autistico con un meltdown? Io v’ho avvisato.
La speranza è ovviamente che la presenza di una qualifica professionale e di velate minacce di sfracelli inenarrabili produca l’effetto desiderato: che mi diano retta invece di liquidarmi come una rompipalle fi’osa e considerino reali e fondate le cose che riferisco sulla mia sensorialità e sulle mie esigenze quando si arriva a procedure mediche più o meno invasive. Perché io sono così stufa di soffrire per educazione…

8 pensieri riguardo “Il dito nel cervello 2, la vendetta

  1. Giusto. La tua amica ti ha dato un’ottimo consiglio, ma, mi chiedo… Esiste una figura professionale di questo tipo? E se non esiste, visto che purtroppo i bambini autistici sono in crescendo, non sarebbe il caso di cominciare a formarle ste persone? Anzi, non sarebbe il caso di formare tutto il personale sanitario, scolastico e chiunque abbia un ruolo sociale di qualsiasi tipo?!!!

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  2. Davvero un buon consiglio. Purtroppo tra tanti medici è diffusa l’opinione che se anche tu non sei medico non capisci una cippa. Pure se si parla delle tue sensazioni, pure se racconti di esperienze pregresse, quello che dici vale zero, non parliamo poi se vuoi avere delle delucidazioni…siccome non hai competenza non puoi capire niente. Già è fastidioso quando normalmente immagino se devi spiegare un problema specifico e concreto come quello del dolore e non vieni creduta. Se metti le mani addosso a qualcuno ti fornisco il penalista XD

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      1. Diciamo che una bella fetta di medici pecca di eccessiva supponenza. Poi ci becca di cattivo umore e forse imparano la lezione (l’ultima deve ringraziare che col covid non son potuta andare ad aspettarla quando smontava dopo che mi ha detto che me ne sono lavata di mia madre per cercarle una sistemazione…un mese e mezzo a chiedere risposte)

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    1. Non conto più le volte che ho dovuto far presente che sono una sanitaria, a volte alzandomi arbitrariamente di “grado”, per far intendere al medicastro di turno che se non mi dava retta, gli piantavo una grana così.
      C’è stata una sola volta, che io ricordi, in cui sono arrivata a smerdare – mi si scusi il francese – un’intera equipe riunita in gran consiglio per convincermi ad accettare una certa procedura. Siccome era una follia, e siccome si trattava di mia madre, non mi sono tenuta. E’ finita che li ho fatti neri, poi ho preteso le dimissioni (che han cercato di negarle!) e me la sono riportata a casa. E’ seguita una denuncia di grave reazione avversa alla sorveglianza sanitaria, e mi son fermata perché dopo aver fatto il decalage del farmaco sbagliato da sola lei si è ripresa.
      Ma ogni dannata volta penso a chi, per età cultura o timidezza, i lorsignori dottori non li sa all’occorrenza rimettere al loro posto. E mi tremano le mani.

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