
La storia ci narra che nel 1914, a ridosso del Natale, nelle trincee del fronte occidentale dove già si moriva come mosche in nome del nazionalismo e della volontà di potenza dei paesi belligeranti, successe qualcosa di inaspettato (dicono): i soldati si misero a scambiarsi visite invece che pallottole, piccoli regali, racconti, insomma sospesero informalmente le ostilità e fraternizzarono.
Ecco, io il Natale per noi autistici lo vorrei un po’ così: una tregua, una sospensione della lotta quotidiana, della guerra che ci tocca combattere là fuori tutto l’anno. Perché poi il punto della tregua di Natale, secondo me, è che non fu una questione di buoni sentimenti, fu una questione di prioritizzazione. Quei soldati per un po’ riuscirono a mettere in un ordine molto più sano le priorità della vita: la potenza delle nazioni? Sticazzi. La vittoria a ogni costo? Anche no. Sono più importanti altre cose. Come ad esempio riconoscere e rispettare l’umanità dell’altro, e anche la propria. E farsi una partita di pallone invece che ammazzarsi senza scopo.
Nel nostro caso, Natale significa riconoscere e rispettare il fatto che siamo autistici, santapaletta, e rimettere un po’ in fila le priorità. Festeggiamenti affollati? Anche no. Baci e abbracci alla prozia Cunegonda sennò si offende? Sticazzi. Dobbiamo proprio socializzare? Non scherziamo. Facciamo che ognuno si prende i suoi spazi, i suoi tempi, si fa questa enorme coccola di dirsi: puoi essere come sei, e va bene così. Questo è davvero il Natale, è davvero vacanza, riposo.
Quest’anno poi l’operazione dell’Aspiebaby ci obbliga ancora di più a rivedere le priorità, a dare tutto lo spazio e il tempo necessari al nostro essere chi siamo e cosa siamo.
Mentre scrivo, l’Aspiebaby è di là in camera sua, sotto le coperte. Ora, capiamoci: l’Aspiebaby è autistico con un profilo PDA. Significa evitamento estremo delle richieste. Significa che qualunque richiesta gli arrivi gli scatena una forte ansia, e più sono le richieste peggio va, fino al blocco totale. E “richiesta” ha un significato estremamente ampio, in questo contesto. Richiesta non è solo una prestazione scolastica, o chiedergli di fare una cosa, richiesta è mantenere un impegno, lavarsi ogni giorno, arrivare a una certa ora, persino dover mangiare, o andare in bagno perché il tuo corpo lo richiede…
Tutto questo viene enormemente complicato quando ci si sposta in un ambiente estraneo, dove ti viene chiesto di adattarti a ritmi persone arredi modalità diverse dalla routine a cui sei abituato. Un fuoco di fila di richieste, implicite ed esplicite. E adesso aggiungeteci le procedure mediche necessarie per un’operazione. E infine, il dolore post operatorio.
Se i medici immaginassero quanto il dolore possa influenzare il comportamento di una persona autistica, quanto possa rendere difficile e a volte impossibile la compliance o anche la semplice calma, a mio figlio avrebbero dato roba di quella buona senza manco dovergliela chiedere. Ma siamo in Italia, e un po’ di dolore non ha mai ucciso nessuno no?
Ed è che le persone, e quindi pure i medici, non vedono cosa succede nelle case degli autistici. Ci vedono camminare per strada, andare in ambulatorio, entrare in reparto sulle nostre gambe. L’Aspiebaby parla, ragiona, sorride anche, fa un masking livello pro come tutti i PDA, nonsembraautisticosignoramia, quindi tutti pensano che ce la può fare. Non vedono poi gli attacchi di panico, non vedono la catatonia, non vedono quando si taglia, non vedono un sacco di cose. E se glie le racconto, non mi credono, vedi l’altroieri. Quindi ci dimettono in scioltezza con la notizia che Aspiebaby deve farsi 30 giorni di gambaletti gessati e punture di eparina, lui che ha la fobia degli aghi e anche solo un prelievo significano 40 minuti di calvario&panico. E noi torniamo a casa, e so’ cavoli nostri.
Mentre vi scrivo fanno più di 24 ore che non va in bagno, e non mangia e non beve da ieri sera. Questo è uno dei possibili effetti di un’ospedalizzazione più dolore trattato alla come ‘ene ‘ene, su un bambino autistico e PDA. E non dite “eeeh prima o poi la farà”. Alla sua età ho tenuto la pipì per più di 48 ore, solo perché eravamo in vacanza e mi facevano schifo i bagni del campeggio, manco avevo subito un’operazione. Quando alla fine gli adulti hanno realizzato e mi hanno portato in un bagno decente, perché comunque non mollavo, avevo rimediato una vescica incontinente. Quindi lo so che bisogna farlo pisciare, ma so anche che fargli pressione è come finire sulla casella “torna al punto di partenza” del gioco dell’oca. Ogni volta che fai una richiesta, in queste situazioni, non fai altro che aumentare la pila di richieste che stanno schiacciando quella persona, e allontanando la soluzione. Non la stai aiutando, la stai mandando in blocco ancora di più.
Quindi adesso qui si dichiara una specialissima tregua di Natale: qui nella nostra personalissima trincea le richieste di qualunque tipo vengono abbassate a zero o quasi, sospese. Ci sono solo 3 priorità: quando te la senti fai pipì, tutte le sere tocca fare l’eparina, e poi prendi la terapia antidolorifica. Il resto pace, lavarsi non è fondamentale per la sopravvivenza, pettinarsi men che meno, stai a letto se vuoi. Riposati. Stai in silenzio. Comunichiamo per messaggi, non serve nemmeno guardarsi. Da mangiare ce l’hai lì, se vuoi. Ti lasciamo in camera tua in pace, anzi mettiamo pure un cartello fuori che si entra il meno possibile. La nostra ansia ce la teniamo, tu ne hai già a sufficienza, e cerchiamo di aspettare, di fidarci di te e di questa strategia. Speriamo bene. Buona tregua di Natale a tutti.
Non sono manco neurodivergente (o almeno credo, di recente due domande me le sono fatte, ma tendo ancora a pensare che siano i medici a che non danno risposte, che non capiscono neppure le domande, a suscitarmi dubbi impropri) eppure leggendo l’ultimo paragrafo ho tirato un sospiro di sollievo, esultato, ringraziato ad alta voce; ma che dico, ululato.
Eh sì. Tempi nostri, modalità nostre, ritmi nostri. E chi non ci sta si fotta. Buon Natale a chi se lo merita.
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Buon Natale a te!🖐️😊🎄⛄🛷
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