Buster Keaton co’ le coliche

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Sono sdraiata su una lettiga in pronto soccorso, mentre un’infermiera mi inserisce un ago cannula nel braccio sinistro. Io nel frattempo piango. “Stai piangendo per il dolore?” mi chiede lei gentilmente. No, rispondo, piango perché non mi piace essere qui. Mi guarda perplessa ma non discute. Mi lascia tranquilla mentre in vena inizia a scendere la fisiologica e qualche farmaco antidolorifico che ci hanno messo dentro. Mi copro il viso e piango un altro po’, sentendomi la creatura più sola e triste al mondo (anche se oltre questa tenda ce ne sono almeno altri tre, messi come me e con la loro flebo al braccio).

Mezz’ora dopo, l’antidolorifico ha fatto effetto, evidentemente, e stare lì al pronto soccorso improvvisamente mi piace un sacco. E’ proprio un bel posto, e potrei passarci tranquillamente il resto della nottata, se mi portano un tè e du’ biscottini. Mi rendo conto che quello che sentivo prima era dolore, non tristezza o brutti ricordi. Dolore, e basta. Tolto il dolore, sto benone.

In sostanza, come capita a molti autistici, non è che io non senta dolore, è che non riesco a identificarlo come dolore. Sto malissimo, ma non capisco che è per il dolore. Non so identificare chiaramente se è un dolore forte, anzi soprattutto se è un dolore forte. Stasera al pronto soccorso ci ho messo un po’ per trovare il coraggio di andare dall’infermiera del triage e chiedere aiuto. E’ stato un gentile signore che mi ha visto piegata in due nell’atrio che ha chiamato qualcuno per visitarmi, sennò sarei ancora lì a dirmi che forse sono esagerata, che in fondo non avevo tutto questo gran problema, bastava andare a casa e rilassarmi…

In realtà, ho una colica biliare in corso. Sto maluccio da quattro giorni, poi sono peggiorata. Ma prima ho evitato di andare da un medico, poi quando finalmente ci sono andata ho pensato che stavo così male e piangevo perché i locali del pronto soccorso mi riportano alla mente brutti ricordi per tutte le volte che sono venuta qui con l’Aspergirl. Una volta in pronto soccorso, mi hanno preso i parametri vitali e fatto le analisi urgenti, ed è uscito un quadro evidente di colica dolorosa. Io mi sono autocoglionata con discorsi pseudopsicologici, i macchinari del pronto soccorso molto più svegli di me hanno registrato una bradicardia vagale dovuta al dolore, e indici epatici e infiammatori molto alterati.

Cioè: ho scambiato le conseguenze di una condizione medica, perfettamente diagnosticabile e rilevabile in modo oggettivo con analisi ed esame obiettivo, con un fantomatico trauma psicologico del passato.
La mia ex psicanalista sarebbe fiera di me.

Ora a parte procurare figurette con i medici di cui rideranno i miei nipoti dicendosi che nonna era già rincojonita da giovane, l’incapacità di identificare e comunicare correttamente il dolore, specialmente quello viscerale come nelle coliche, non è proprio una fortuna. Non è un’anestesia (che sarebbe comunque problematica anche quella, perché non ci si accorge proprio di avere un danno fisico), è qualcosa di più sfuggente e insidioso. Si sta malissimo, al punto da non riuscire a fare più nulla. Ma non si riesce a capire bene perché. E questo è pericoloso, perché potreste andare al pronto soccorso troppo tardi. O essere troppo controllati e contenuti nello spiegare ai medici cosa sentite. Già le donne quando dicono di star male vengono prese regolarmente sottogamba dai medici, è proprio un fenomeno dimostrato, se poi siete come me il tipo di autistica con scarsa mimica faciale, che dice “sto moreeeeendo” con la faccia di Buster Keaton ecco, questo potrebbe trasformarsi in una prigione che rende difficile essere aiutati…

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