Mi ricordo, sì, io mi ricordo.

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Io mi ricordo che quando ero bambina, la notte era sempre un problema. Un grosso problema. Il buio per me era una cosa inquietante e spaventosa. Durante il giorno non avevo tanta paura, le paure sembravano quasi scomparire magicamente alla luce del sole. Ma quando il sole calava, e arrivava il buio, tornavano fuori di nuovo. Oggi so che non erano proprio paure normali, lo so perché ho visto le stesse paure nei miei figli, e confrontando la mia vita con quella di altre persone autistiche, ho scoperto che molti hanno avuto o hanno esperienze simili. Lo definirei terrore puro, più che paure, e vedo lo stesso sconcerto e incapacità di capire e accettare la validità di quel terrore attorno a loro. Vedo anche l’incapacità di capire che i metodi normali non funzionano, con quelle paure. Ma io mi ricordo come ci si sente, a me non potete raccontare che sono vizi o stupidaggini del genere. Sono cose reali, io lo so, io mi ricordo.

Avevo paura di fantasmi, mostri, alieni, creature mostruose, entità innominate e oscure che potevano aggredirmi alle spalle, afferrarmi il piede mentre ero a letto, avvicinarsi mentre mi nascondevo immobile sotto le coperte. Dormivo coperta da  capo a piedi, sempre. Anche d’estate, anche con il caldo, se non mi coprivo completamente non riuscivo a prendere sonno. E ce ne voleva, per prendere sonno. A volte restavo così sveglia, per ore e ore, nel buio in cui non riuscivo nemmeno più a orientarmi, a capire dove ero nella stanza. E il terrore non se ne andava. Avrei voluto urlare ma lo so che non si fa, e poi se urli ti trovano, qualunque cosa siano. Altre volte se c’era un po’ di luce prendevo coraggio, uscivo dalla mia stanza e strisciavo pian piano ai piedi del letto dove dormiva uno dei miei fratelli. Mi accoccolavo sulla parte finale del letto e restavo lì, sveglia perché stavo scomodissima e avevo freddo, un freddo paralizzante che forse era un misto di freddo e paura, ma almeno non ero sola. Dopo aver visto da bambina una sequenza, una sola scena di un film di fantascienza horror con una creatura che avanzava in fondo a un corridoio*, qualunque corridoio buio era diventato peggio del ponte delle miniere di Moria con un Balrog in fondo. E purtroppo a casa di mia nonna c’era proprio un corridoio così, con in fondo una vetrata e dietro la vetrata si stagliava un enorme albero scuro con i rami agitati dal vento. Non un Balrog ma piuttosto vicino, ai miei occhi. Non potevo affrontarlo, semplicemente. Dovevo avere luci accese e comunque camminavo in fretta fino in fondo.

Credo che nessuno si sia mai accorto in famiglia che avevo questi terrori inspiegabili che mi accompagnavano come un ingombrante passeggero mentale. Come molti piccoli Asperger non parlavo a nessuno del mio mondo interiore, nemmeno mi veniva l’idea che fosse possibile parlare di queste cose ed essere aiutata, e da fuori sembravo una ragazzina molto tranquilla, silenziosa, studiosa. Leggevo fino a notte fonda, e non era solo passione per la lettura, era che non volevo dormire, volevo distrarmi. Insomma affrontavo tutto da sola. Da adulta le paure non sono passate del tutto, ma  cerco di controllarle con la razionalità. Vi dirò che la razionalità funziona fino a un certo punto, un lungo corridoio buio lo devo percorrere comunque mooolto in fretta, e comunque la differenza tra giorno e notte è rimasta. I film horror li evito come la peste. La notte è un momento in cui le paure tornano, l’oscurità parla alla parte ancestrale del nostro  cervello e non c’è razionalità che tenga lì, la paura si srotola dal luogo in cui è acquattata e vien fuori quasi da sé, come un serpente. Sono paure che ci hanno aiutato a sopravvivere come specie, mi dico, pazienza se adesso mi complicano un po’ la vita. Se fossi stata una Cro-Magnon sarei sopravvissuta meglio di altri. Magra consolazione.

E poi mi ricordo di quando ero bambina e andavo a dormire nel lettone  con mia madre, e lei mi permetteva di starle vicino, mi ricordo la sensazione di calore, conforto, sicurezza, di solida certezza che andava tutto bene. Non avevo mai paura, era come se mia madre fosse il sole che faceva sparire le paure. C’è stato un momento in cui ho smesso di andare nel lettone, ma non ho ricordo di esserne mai stata scacciata. Semmai pazientemente riportata in braccio nel mio lettino quando ero addormentata, se la situazione si faceva troppo affollata (quando ero piccola eravamo in tre fratelli quasi coetanei, c’è da capirli i miei).

E mi ricordo, anzi ho chiarissima la sensazione di stabilizzazione, benessere, sicurezza e relax che provavo da bambina quando mi succhiavo il pollice. Pagherei per riaverla, altro che goccine di questo o quello. E’ per questo che chiunque abbia cercato di togliere il ciuccio a mia figlia minore se l’è dovuta vedere con me in versione MamaBear. Perché io so cosa significa quello stimming per lei, per il suo sistema, lo so proprio a livello esperienziale, propriocettivo. Gli altri no, non possono capire se manca loro l’esperienza. Non toglierei mai a mia figlia quel sostegno senza dargliene uno altrettanto efficace.

E’ perché mi ricordo questa e altre cose, che alla fine ho cercato e cerco di dare ai miei figli un ambiente domestico e un’educazione autistic-friendly (prima inconsapevolmente, ora con intenzione) di validare, cioè riconoscere e dare valore a quel che sentivano, e al diavolo tanti espertoni di puericultura. E’ perché mi ricordo bene come ci si sente quando hai *veramente* paura del buio, e ti attaccheresti pure ai piedi di tuo fratello al freddo pur di non stare sola, che con me Estivill e co. hanno fatto la fine che meritavano, a fare da spessore sotto il termosifone. Ogni volta che mi fanno discorsi sul dormire ognuno nel suo letto, sui denti storti, sul fatto che poi la pigliano in giro, che poi si fa fatica a togliere l’abitudine, che poi non crescono, che poi che poi… io mi ricordo, e questo conta. Il mio corpo ricorda. La sensazione di terrore. La sensazione di sicurezza. La sensazione di benessere. Non posso dimenticare quello che so, non posso ignorare ciò che ricordo. E’ una consapevolezza potente, che non può essere messa da parte. Per fortuna dei miei figli, io mi ricordo.

*”La cosa venuta da un altro mondo”, probabilmente la versione del 1951

3 pensieri riguardo “Mi ricordo, sì, io mi ricordo.

  1. Mi hai fatto tornare alla mia infanzia. Anche io non riuscivo a dormire se non ero coperta fin sopra la testa. Ricordo quanto sudavo d’estate per l’abitudine consolatoria di dormire comunque coperta nonostante l’afa. Agli anni dell’infanzia risale il benessere che provo – immutato, ancora oggi che ho 44 anni – quando dormo sotto un pesante strato di coperte.
    Non mi infilavo nel letto se prima non avevo ispezionato l’interno degli armadi e dei cassetti, gli angoli della camera, il sotto del letto, il dietro della tenda. Mentre provavo ad addormentarmi non mettevo mai braccia o gambe a penzoloni per paura che qualche creatura malvagia mi tirasse sotto il letto, dove la mia fantasia aveva collocato una voragine spaventosa riempita delle mie peggiori paure. Se durante la notte mi svegliavo per fare pipì, costringevo la mia sorella maggiore ad accompagnarmi in bagno. Lei mi ha pazientemente accompagnata in questo rituale notturno per anni e anni.
    Conosco molto bene il potere consolatorio del succhiarsi il pollice perché me ne sono “liberata” solo intorno ai 7 anni. Venivo rimproverata e derisa per questo ma non riuscivo a rinunciarci. La notte prendevo sonno ciucciando il pollice e accarezzando il bordo vellutato della coperta di lana, facendolo scivolare fra i polpastrelli del pollice e dell’indice dell’altra mano.
    Ho completamente rimosso i giorni successivi alla rinuncia al pollice. Non riesco a ricordare con che cosa sostituii questa mia amata abitudine. Però ricordo molto bene la sensazione di calore dentro la mia bocca, la pelle umida e raggrinzita del mio pollice, il benessere che mi procurava ciucciarlo. Ricordo che era il pollice sinistro.
    Ricordare queste cose mi ha permesso di non vivere come una defaillance educativa il permesso che ho sempre accordato ai miei bambini si dormire nel lettone. Io so quando può far bene sentirsi protetti e al sicuro; quanto sia importante avere un buon numero di ore di sonno continuativo; quanto sia fondamentale sentire che le proprie paure sono accolte e non sottovalutate o derise.
    Trovo che sia bellissimo ciò che hai descritto del tuo essere mamma. Tu ricordi. Per questo scegli di agire coerentemente coi tuoi ricordi dando ai tuoi figli tutto il supporto possibile. È ciò che cerco di fare anch’io.

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  2. Il buio no, non lo temo… ma so che nel buio ci sono delle “cose” a volte, non sempre… e quando sento che ci sono, beh, la descrizione che dai tu calza a pennello: Terrore puro, improvviso, devastante. Io giro nei boschi da sola di notte… i boschi sono la mia casa; mi danno protezione, ma a volte nel buio accade questo e no, non lo so spiegare, non so cosa sia. Accade ed è spaventoso!! Ma lo conosco talmente bene che mi risulta familiare. So gestirlo; basta che io cambio strada, che mi allontani fisicamente e finisce, all’improvviso, come era cominciato. Mi capita, in certi luoghi, in alcuni momenti… però sono lunghi, sono momenti che durano una vita. Da bambina invece no, non gestivo… lo vivevo senza sapere come liberarmene ed era soffocante, terribile.

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  3. A parte il pollice (il mio stimming notturno è sempre stato strofinare ritmicamente i piedi contro il materasso o fra di loro), mi riconosco in tutto. La testa era l’unica cosa che rimaneva fuori (sotto alle coperte mi sentivo subito soffocare), e tutt’oggi fatico a scoprirmi anche d’estate. I corridoi e le stanze buie solo di corsa, e mai guardare i vetri durante lo sprint, che chissà cosa vedi riflesso. Oltretutto facevo sempre incubi, quindi anche il sonno non era un rifugio. Risultato, quasi tutte le notti a leggere di nascosto.
    Chissà da dove ci vengono queste paure!

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